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Addestramento Tecnico; Studioso di Razze Lvl. 2

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    We all sighed, a nervous sigh that comes when the devil is within earshot



    Soffocai uno sbadiglio quando sentii le campane che segnavano le due del mattino; alzai il colletto della tuta mimetica finché non mi coprì le labbra ed intercettò il respiro che si condensava nella notte. Da quanto tempo eravamo lì: tre, quattro ore? Salire di rango presupponeva avesse dei vantaggi quali non starsene a congelarsi il culo in giro in una missione dallo svolgimento più lento di Leona quando le toccava la corsa delle cinque. Mi bastò una sola occhiata per vedere che non ero l'unica ad essere stanca di starsene lì impalata; gli unici vispi ed attenti erano come sempre Eric e Caliz, gli assassini di alto rango che dirigevano gran parte delle esterne. Leona aveva il viso tra le mani, gli occhi chiusi nonostante ogni tanto mormorasse un poco convincente “sto solo riposando, non sto dormendo”; Sam e Rocky facevano a turno per tenere il binocolo o comunicare via radio con la squadra alfa. Per l'ennesima volta in quella serata, abbandonai il mio posto dietro alla fila per andare a trovare il mio fan numero uno.
    Non appena mi sentii avvicinarmi, Eric fece un respiro esasperato, il che mi ò più gioia di quanto non fossi disposta ad ammettere; Caliz mi serbò un sorriso complice.
    «Hey, senti, cosa devo fare per meritarmi una partita a burraco? Sto morendo di noia là dietro... per non parlare del freddo. Lo sai che non reagisco bene ai climi così rigidi, mi fa spegnere l'entusiasmo» – A conferma di quanto veramente stessi patendo il gelo appoggiai entrambi i palmi sulla parte scoperta del collo, guadagnandomi uno sguardo omicida da una parte e un “ecco che ricominciano” dall'altra. Tutto bisbigli e deboli gesti: ero annoiata, non stupida; per quanto le cose si stessero muovendo lentamente conoscevo l'importanza della missione e qualsiasi frase detta a volume troppo alto o un movimento troppo brusco avrebbero compromesso tutto quanto.
    Il ragazzo mi prese i polsi e mi ammanettò per la sesta volta in quel giorno: doveva essere veramente disperato se ricorreva a quei trucchetti per distrarmi giusto due minuti. Gli relegai una delle mie tanti espressioni tristi, di quelle che come descrizione vedevano un “oh, sono così innocente, perché mi fai questo?” prima di accogliere quella distrazione come se fosse la manna che mi avrebbe fatta sopravvivere.
    «Quarta, se sei stata inviata qui come test, per misurare quanta pazienza io possa avere prima di sgozzarti, faresti meglio a dirmelo, così so regolarmi» – Si girò verso di me solo per darmi la possibilità di contraddirlo ma finii presto per rivolgere la sua attenzione ai due addetti alla comunicazione. «Venti, Quindici, come procede la situazione? A quando il via libera?» – Le mie dita si contorcevano per liberarsi dalle manette mentre Leona si risvegliò di soprassalto dopo che la sua testa ciondolò pericolosamente verso il terreno.
    «Venti minuti, Quinto. Si potrà procedere tra dieci minuti per arrivare al perimetro dell'edificio» – Rocky spostò qualche ricciolo ribelle dalla faccia, irritato dal fatto che Sam gli avesse ancora una volta parlato sopra. Ancora non capivo perché il Consiglio desiderasse metterli nella stessa squadra quando, molto evidentemente, non si sopportavano; alcuni pensavano che la loro rivalità fosse meno ingombrante delle loro capacità, ma questo lo affermavano perché non avevano mai visto gli sguardi di fuoco che si lanciavano quando uno faceva un commento sbagliato. Ciò che potevo ammettere era che il desiderio di fare meglio dell'altro li alimentava ed erano sempre sopra all'eccellenza; peccato si sarebbero lasciati morire nel caso le cose fossero andate storte.

    Nell'istante in cui Sam parlò, Caliz fece un singolo battito di mani e ridestò l'intero gruppo. Dieci minuti e finalmente potevamo iniziare: all'averlo saputo mi sarei aggiunta al gruppo qualche ora più tardi così da riprendermi dal sonno mancato in due settimane così intense. Concentrata al massimo come il resto della squadra, diedi fine ai giochetti. Ognuno iniziò a riposizionare le proprie armi, a sistemare i vestiti ed a testare gli auricolari. In un rituale tutto personale che i Fratelli avevano sviluppato ad inizio missione, per qualche minuto ognuno si ritirò nella propria sfera personale. Caliz si stirò a terra, le mani stese davanti alla testa e le ginocchia piegate: le sue preghiere a Spirae erano inquietanti quanto sincere, come se fosse convinto di essere il messaggero che ne compiva la volontà. Beh, forse era così: lui ed Eric avevano ucciso più gente del numero dei pasti che avevo ingerito in quattordici anni di vita. Contando che ero una divoratrice seriale di cibo, era dirla lunga.
    Leona si limitò a fare e disfare la lunga coda bionda fino ad intrappolarla sotto al cappello di lana nero; Sam e Rocky finalizzarono gli ultimi dettagli tecnici, le loro dita che volavano rapide sulle tastiere. Io mi voltai verso Eric ed in contemporanea stendemmo il braccio destro; le mani trovarono il gomito dell'altro, stringendolo, mentre le fronti andarono a toccarsi. Un sospiro, nessuna parola, un semplice sguardo determinato: era ora di andare.

    Il grande laboratorio era pienamente illuminato ad eccezione di qualche stanza, probabilmente i ripostigli o i magazzini alimentari. Sam schioccò la dita un paio di volte affinché ci concentrassimo sul conto alla rovescia che stava battendo sull'auricolare.

    Tre tocchi.
    Due tocchi.
    Un tocco.
    zap

    Le luci si spensero, segnale che il gruppo di infiltrazione aveva hackerato il luogo, finalmente. Gli altri con le maschere che intercettavano il calore ed io con i miei occhi, ci muovemmo rapidi fino alle porte smagnetizzate.
    «Prova, prova. Ragazzi, mi sentite? Sapete come funziona: battete il dito due volte per si, una volta per no» – La voce ci Rocky suonava chiara e squillante. Eseguii rapida il gesto di routine.
    «Bene, so che ricordate la mappa del luogo e dove dirigervi, ma vi monitorerò comunque perché senza quel compito probabilmente Venti ne approfitterebbe per strangolarmi» – Potevo già immaginarmi Rocky che faceva spallucce, consapevole che l'unica sua arma di difesa, data la sua flebile costituzione, era solo il suo IQ.
    «Prossima divaricazione e dovrete dividervi, come da programma. Mi raccomando “niente superstiti, nemmeno la pulce sul pelo del topo di laboratorio”. Buona fortuna» – La sua imitazione del generale Korshak era sempre emozionante, ma gli avrei rinnovato i miei complimenti a missione compiuta.

    Una volta giunti al divario, le coppie si separarono: i due assassini andarono verso le sale con i vari fisici e scienziati, mentre io e Leona corremmo verso i laboratori sperimentali, dove avremmo dovuto trovare i manoscritti e gli articoli rivoluzionari su cui la Dimora voleva mettere le mani.
    Dovemmo girare solo dieci minuti prima di arrivare alla zona del bottino, ma ci vollero solo pochi secondi per capire che non eravamo sole; beh, non proprio.
    Bisbigliando e indicando a Leona la porta di modo che si parasse di guardia, misi una mano sull'auricolare ed accesi la comunicazione.
    «Okay, so che ci dovrebbe essere silenzio radio, ma c'è qualcosa che non quadra. C'era scritto da qualche parte che avremmo incontrato degli Abomini? No, ecco, perché qua ce ne saranno almeno sette» – Camminai al centro della stanza tenendomi ben lontana dalle teche di vetro attaccate ai muri o ai lettini medici su cui erano chiaramente legate ciò che un tempo erano esseri umani.
    «Merda. Quarta, Nona: dove cazzo siete finite? Vi avevo detto di andare nel corridoio cinque, stanza c. Non avete tempo per fare le esplor---» – La voce decisamente infastidita di Leona – sempre fossero lodate le poche remore che aveva nel tagliare corto – fermò lo scheletro ambulante a forma di Fratello dal continuare a scavarsi la fossa da solo.
    «Senti, coso, siamo esattamente in quella fottuta stanza. Quarta ti stava solo dicendo che non è come ce l'avevano descritta ed ha semplicemente riferito la cosa. Passo e chiudo, idiota» – Le feci cenno di entrare non appena tornammo in silenzio. Mentre lei si occupò di trafugare e selezionare i documenti sopra ai tavoli con una certa attenzione, io andai dritta alle casseforti nascoste. Posizionai gli ordigni che ci avevano dato in dotazione, quelli in grado di far esplodere il meccanismo interno senza nemmeno una vibrazione – va bene, non tutti i tecnocrati della Dimora erano uno spreco d'ossigeno, lo ammettevo – e li feci scattare in contemporanea. I piccoli sportelli si spalancarono e andai a raccogliere la mercanzia da infilare nello zaino mentre in sottofondo potevo udire i vari commenti dei due Fratelli addetti alla sorveglianza.
    «Avete ancora mezz'ora prima che torni la corrente. Quinto, Secondo, area nord?» – Due battiti; avevano eliminato i presenti. «Okay, area ovest?» – Breve silenzio, un battito. Erano ancora in fase d'opera, ed anche se una volta finito qui avrei potuto benissimo andare ad aiutarli, non erano quelli i miei ordini. Il mantra era il solito: completare l'assegnazione ed uscire, riunirsi nel luogo di rendez-vous. Se avessi dovuto scommettere sulle capacità dei due assassini e sulla loro sinergia in campo, saremmo comunque stati tutti fuori in dieci minuti.

    O almeno lo saremmo stati se la curiosità innata di ogni ladro non fosse insorta nel peggiore dei modi. La ragazza, mentre ero impegnata a far stare tutte quelle scartoffie in uno zaino che sarebbe diventato presto un macigno, si avvicinò ad una delle teche di vetro per ispezionarne il contenuto. Mi resi conto della sua prossimità solo quando lei parlò.
    «Come pensi... che siano stati creati?» – Mi girai solo per vederla, con mio grande orrore, poggiare un palmo della mano sul vetro. L'essere al suo interno, un ammasso rugoso e corroso di carni e arti, galleggiava in un liquido giallognolo, in una sostanza vischiosa e in cui si formavano delle bolle. Il viso non era completamente visibile a causa della grossa maschera che lo ricopriva, ma ero più che certa che non sarebbe stato un bel vedere. Passarono alcuni attimi in cui nulla successe, nulla a parte il mio respiro smorzato dall'ansia. Ma come nelle peggiori storie horror mai scritte, gli occhi del mostro si aprirono di scatto e se la visione termica era giusta non stava facendo cilecca, sette corporature ebbero un'impennata di temperatura... il che voleva dire una sola cosa.
    Non feci in tempo a finire di urlare il numero di Leona che uno dei vetri si infranse. Lanciai immediatamente lo zaino fuori dalla porta, facendolo scivolare sul pavimento mentre la mia mano volò sull'auricolare.
    «Abbiamo bisogno di aiuto, gli Abomini sono svegli. Ripeto, gli Abomini sono sv---» – Dovetti interrompere la comunicazione quando sentii il grido di Leona che iniziò a tirare calci alle mani di Abominio A quando questi la prese dalla caviglia non appena, dalla sorpresa, ella finì a terra dopo la rottura della teca. La ragazza si mise in piedi non appena ne fu capace e la raggiunsi facendo aderire la mia schiena contro la sua. Non eravamo proprio con le armi migliori per difenderci da qualcosa che non avevamo mai affrontato, qualcosa di chiaramente migliore di un umano in termini di combattimento. Leona tirò fuori la katana ed io mi aggrappai ai due pugnali che tenevo negli stivali. Ci sarebbero state tante cose che avrei voluto dirle, tipo “ma che cazzo di problemi hai” oppure “giuro che se muoio perché questi cosi mi mangiano la faccia ti perseguito anche all'inferno” ma avevo la gola stranamente troppo secca per poterlo fare. Dunque mi limitai ad un breve ma conciso “Vaffanculo, Nona” che sperai potesse esprimere tutta la mia infinita contentezza.

    L'unico lato positivo di quell'intera situazione era che i tre esseri legati non erano in grado di liberarsi e non avrebbero fatto parte della gang. Mentre per i quattro ora liberi dal vetro... beh, una volta tolte le maschere che li costringevano ci avevano adocchiate come se fossimo i bocconcini più prelibati, la portata più squisita.
    «Serim? Serim, state bene?» – La voce preoccupata di Eric giunse dall'altro lato del ricevitore. Non avrebbe dovuto usare il mio vero nome, era contro le regole. Di certo non ero in grado di rispondergli, non quando avevo le mani occupate a tagliare carne – o pseudo tale – e gli arti impegnati a non essere tranciati dalle enormi unghie taglienti delle creature. Sapevamo che questo laboratorio faceva esperimenti borderline disumani, motivo per il quale c'era stato dato l'ordine di debellare il personale che se ne occupava e di rubare tutto ciò che ne faceva parte per poi darlo alle fiamme. Si chiamavano Abomini ma non avevano nulla a che fare con quegli esseri viventi che si tramandavano nelle leggende e che ogni tanto facevano fare una brutta fine a qualcuno. Solo pochi addetti sapevano di questa sperimentazione e giusto alcuni conoscevano per cosa questi sperimenti sarebbero poi stati utilizzati. Ciò che era certo era che nessuno a quanto pareva aveva saputo che tali esperimenti sarebbero stati trasferiti per una fottuta revisione o quant'altro ed ora eccoci qui, a bestemmiare sotto i baffi contro il mondo.
    Dal modo in cui si muovevano parevano fossero tutti collegati, almeno sensorialmente. Agivano come un tutt'uno, calibravano lo spazio che avevano a disposizione così da non intralciarsi. Tra le grida di Sam nelle orecchie ed il bruciore nei polmoni per lo sforzo di non andare nel panico, mi ci volle un solo secondo di distrazione affinché il castello di carta crollasse. Nel momento in cui Leona schivò uno degli artigli che tentarono di colpirla – e mentre nel contempo pugnalavo Abominio 2 nel petto – quell'attacco venne dritto verso di me, perforandomi dolorosamente il fianco. Tre delle cinque lame che costituivano le unghie del mostro mi si conficcarono nel corpo e si ritirarono solo quando Leona fu in grado di spingere l'essere lontano da me, causandomi una poco consigliata lacerazione. Mentre con una mano tenni salda la ferita, con l'altra mi ripresi il pugnale che fuoriusciva dal petto dell'Abominio stramazzato a terra. Ne rimanevano tre... Tre era un numero migliore di quattro,no?
    «Siamo a due minuti di distanza. Resistete» – La voce affannosa ma risoluta di Caliz era a malapena udibile da sopra il fischio acuto che mi rimbombava nelle orecchie. Non ci voleva un genio per capire, dal modo in cui il respiro mi si mozzava in gola e dalla quantità esagerata di sangue che pareva sgorgare fuori dal mio corpo, che era stato colpito qualcosa di diverso di un innocuo strato di cartilagine e grasso. Gli organi peggiore in cui subire ferite erano i polmoni e l'intestino. Beh, merda, sperai solo che non mi colpissero anche l'altro.

    Seppur debilitata, l'adrenalina mi era fortunatamente alleata: prima ancora che potessi pensare, il mio corpo si mosse da solo, agendo non appena Leona fu in grado di far perdere l'equilibrio ad uno dei tre: utilizzai la sua posizione inginocchiata e la mia sopraelevata per piantargli uno dei pugnale nel cervello – o quello che ne rimaneva. Ci dovetti mettere più forza del creduto, perché per qualche strana ragione a me ignota mi ritrovai a cadere a terra con esso, i miei occhi che vagavano incerti sui suoi. Mentre la mia bocca si aprii per sputare fuori un grumo di sangue, le mie pupille incontrarono le sue e quel che vidi mi fece scorrere un brivido lungo la schiena. Sembrava così... umano. Verdi con un tocco di grigio, un colore così bello su qualcosa di così deturpato. Il colore del mare, della foresta con un cielo plumbeo, il colore della cenere su un prato. Persa in un mondo parallelo, in divagazioni tipiche di chi si era appena drogato, mi resi conto di essere completamente stesa per terra solo quando delle mani cercarono di farmi alzare. Qualcuno mi stava toccando come se fossi stata tra le cose più fragili in circolazione: era un tocco leggero ma deciso, cauto e disperato, soffice quanto duro. Voci su voci si ammassavano, le palpebre pesanti tentarono a più riprese di concedermi quella dormita di cui avevo tanto bisogno. Uno schiaffo, poi due. Imprecazioni. Mi sentii trascinare per qualche metro prima che il calore si staccasse.

    Tornai nel mondo di vivi con un dolore lancinante alla gamba. Mi misi a sedere di scatto ed osservai con occhi spalancati la siringa che mi trafiggeva la coscia sinistra. In una rapida ispezione della stanza potei constatare con soddisfazione che i quattro esseri erano stesi a terra, rivolti nel loro stesso sangue blu. Leona mi rimise con decisione sul pavimento non appena sentii il respiro mozzarmisi in gola. Eric, con entrambe le mani sulla ferita per fare pressione, era entrato nella modalità da leader con la naturalità di sempre.
    «Venti, Quindici, contattate la squadra alfa e dite che abbiamo bisogno di cure mediche nel punto d'incontro. Ditegli di portare anche qualche specialista di veleni: a giudicare dal colorito delle labbra e da quanto sta sudando direi che quegli artigli erano infetti da qualche sostanza» – Un rapido “si, capo” e i due tecnocrati finalmente fecero silenzio. «Secondo, stacca una delle mani dell'Abominio, nel caso ci serva per creare un antidoto. Trovami qualche tipo di kit medico. Nona, prendi tutto il materiale che avete trovato e portalo al punto d'incontro: ci vedremo là. Forza» – Tutti si mossero non appena finii di impartire gli ordini. Quando rimanemmo soli, qualche lacrima iniziò a sgorgarmi dagli occhi. Certo, il dolore era impressionante e quella situazione era un enorme casino – avrei potuto piangere solo per la quantità di moduli e accertamenti che avrei dovuto fare una volta tornata alla Dimora – ma a stringermi il cuore non fu il male bensì lo sguardo che aveva Eric. Con le sopracciglia un po' più vicine del solito, mi osservava come se un soffio mi avrebbe portata via.
    «Hey...» – Gli strinsi il maglione nel punto in cui si era formata una piega e cercai di sorridergli. Tra parole che mi cullavano e l'insensibilità che stava iniziando a prendere possesso, non riuscii a tenermi sveglia nemmeno con le preghiere di Quinto. Col sangue incastrato nella trachea e le forze che venivano meno, tutto intorno a me si spense lentamente.

    [...]

    Parte uno di due. Questo potrebbe essere considerato il prologo, immagino, per il vero addestramento della conoscenza. Avevo intenzione di imparare le Razze Mezzoumano, Demone ed Umano, tutte e tre le entità che Eric si trova a giostrare data la sua natura di Mezzodemone. So yeah, spero venga una roba sensata, ma se così non fosse in realtà mi sono comunque divertita a scrivere la scena. I love angst, it's my nature c:





    Scheda Serim Quarta {x}
     
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    Prima ancora di poter mettere a fuoco ciò che avevo attorno sentii delle voci pronunciare con dolcezza il mio nome: una tinta di preoccupazione sfumava un tono limpido che mi chiamava ripetutament mentre qualcun altro stava dando ordini di natura che al momento non riuscivo a decifrare. Dopo alcuni minuti di spaesamento più totale, gli occhi smisero di bruciare nell'osservare la vibrante luce che inondava la stanza e fui lentamente in grado, come avrebbe potuto fare un cieco dalla nascita non appena fosse stato graziato della vista, di riconoscere le persone dietro a quelle due sagome confuse e sottosopra.
    «C-» – Non feci nemmeno in tempo a sputare fuori un femminile “Che cazzo è successo” che mi accorsi di due cose: primo, la mia gola non esisteva più. Doveva essere così o non sarei stata in grado di spiegarmi perché diamine al suo posto ci fosse un infinito ammasso di sabbia. Una singola parola mai completata mi costrinse a tossire a ripetizione, provocandomi ancora più male, un dolore secco che dalla trachea si era esteso in tutta la sua intensità al fianco sinistro. L'istinto volle che mi chinassi su me stessa e rimanessi in posizione fetale per alleviare il fastidio ma così facendo venni incontro alla consapevolezza numero due: avevo mani e gambe incatenate ai bordi del letto.
    In un pot-pourri di dolori, confusione ed una grande percentuale di agitazione ero più che prossima a sfidare l'integrità della mia voce accettandone le conseguenze pur di ottenere un barlume di ragione; fortunatamente per me Leona si mosse prima che il mio cervello richiedesse autonomamente le ragioni dietro a quello scenario.
    «Hey hey hey, calmati. Siamo noi, sei al sicuro, sei all'Infermeria. Adesso che sei cosciente ti sleghiamo e ti spieghiamo tutto, va bene?» – Il suo tocco delicato venne a fare sosta sulla spalla, sia per ancorarmi al letto che per rassicurarmi della sua presenza. Non dovette fare troppi sforzi per tenermi salda in quella posizione: quel minimo tentativo di movimento mi aveva annebbiato la vista.
    Leona e Cal tiravano occhiate verso di me ed al contempo confabulavano velocemente tra di loro, lasciandomi impossibilitata a concentrarmi. Ero rimasta così intontita e incapace di analizzare la mia situazione che mi ero resa conto solo in quel momento che era una maschera per l'ossigeno ad appannare i volti sempre più indefiniti dei miei due Fratelli.
    Il mio sguardo incrociato sul naso doveva essere stata una visione molto poco aggraziata poiché appena mi resi conto di quell'ulteriore ostacolo che mi divideva dal mondo, Caliz si avvicinò e la tirò via, rivelandomi un sorriso divertito. Leona fu appena in grado di rilasciarmi le braccia che a fare il suo ingresso nella stanza arrivò Eric. Il suo viso era un completo straccio: le occhiaie erano inversamente proporzionali all'energia che deteneva il mio corpo, aveva una grossa benda che gli fasciava il collo e un grande cerotto imbarazzante raffigurante due gatti che gli coprivano parte della testa.
    Mi massaggiai i polsi indolenziti rimanendo stesa sul lettino e fissandolo, accigliata, chiedendomi perchè cavolo se ne stesse lì sulla porta con la bocca semichiusa: in quel momento pareva davvero un pesce lesso. Presi con tantissimo entusiasmo il bicchiere che mi aveva allungato Leo nella mia visione periferica, il tutto senza staccare lo sguardo da quello dell'assassino. Gli mandai un chiarissimo “Allora?” inarcando le sopracciglia al loro limite, mentre alzai leggermente la testa il minimo indispensabile per poter bere l'acqua più dolce che avessi mai avuto il privilegio di assaggiare.
    Dovetti aver emesso dei suoni ben poco raccomandabili: Cal non mi fece arrivare nemmeno a metà bicchiere prima di esclamare un sonoro «Guarda che l'acqua la devi solo bere, mica farci dell'altro». Me ne fregai, ingurgitando il liquido finché non mi ci strozzai. L'acqua di traverso, e la tosse infinita che mi fece provare non poco imbarazzo, fu la scintilla che servì per far smuovere Quinto dal suo stato di morte apparente. Mi fece sedere con la gentilezza che riservava solo ai miei fallimenti post missione, o alle cure dopo l'ennesima rissa da me scatenata, sorreggendomi a raddrizzandomi nonostante il dolore al fianco mi incitasse a rimanere sdraiata per l'eternità.
    «Potreste lasciarci soli, ragazzi?» – La sua voce non trasudava lo stesso tipo di autorità esibita durante le operazioni ma i due non ebbero alcun motivo per non ubbidirgli, forse mossi alla rapidità dopo aver visto qualcosa nel suo sguardo, dato l'ammiccamento d'intesa che si scambiarono. Mi salutarono con un cenno della mano, a cui riuscii a rispondere molto fiaccamente, prima che il mio campo visivo venisse ricoperto da quel bel faccione un po' martoriato che tanto amavo.
    «Sai chi sei? Come ti chiami, quanti anni hai? Sai... chi sono?» – Eric alzò un dito e lo fece andare verso ai lati, le sue pupille di un nero intenso che mostravano la serietà più assoluta.
    «Io... Io... mi chiamo... mi chiamo...?» – Lasciai la frase incompleta, sul mio viso un'espressione di confusione addestrata durante le tante missioni di taccheggio. Avrei voluto continuare col pronunciare un bel nome aristocratico ma quelle tre parole e la mia convincente, e alquanto reale, spossatezza furono abbastanza per trasformare quella maschera di serietà in una di preoccupazione e spavento.
    «Oi oi oi, Eric, sono Serim, lo so. Ti stavo prendendo in giro» – Sentirmi pronunciare il mio nome fu abbastanza per tranquillizzarlo, facendogli abbassare la testa nell'incavo della mia spalla, le braccia che tenevano le mie braccia con una stretta incerta. Portai le mie mani fino ad affondarle nei suoi capelli, evitando di toccargli il cerotto – «Hey, ma cosa c'è? Stai bene?» – Appoggiai il lato della testa sulla sua, cercando di confortarlo. Se ne stette in quella posizione per circa un minuto e mezzo, sentendo la mia presenza, accertandosi del mio respiro, in completo silenzio. Quando alzò lo sguardo feci del mio meglio per esibire il mio sorriso migliore.
    «Sei proprio stupida, lo sai? No, ecco, nel caso in queste due settimane te ne sia dimenticata mentre girovagavi nel mondo dei sogni» – Si alzò per riempire nuovamente il bicchiere d'acqua e bevendone un sorso prima di passarmelo. «Hai idea di quel che mi hai fatto passare?» – Alzai un indice come per dirgli che a quanto pareva ero io che avevo passato qualcosa e non il contrario, ma mi batte per rapidità (e forza nel timbro).
    «Qual è l'ultima cosa che ricordi?» – Iniziò a togliermi le restrizioni alle gambe, lanciandomi un'occhiata d'incoraggiamento nel vedermi in meticoloso silenzio. L'ultima cosa, l'ultima cosa...
    «Beh eravamo nel laboratorio, gli Abomini hanno fatto dei trick da maghi perforandomi il fianco e poi... poi?» – Guardai il cortile interno della Dimora attraverso le candide tende che coprivano la finestra. In realtà ricordavo molto di più, ma solo in stati d'animo, specialmente quelli di Eric.

    Eric-1
    Dopo che aveva risolto la questione delle povere creature azionate da Leona mi si era avvicinato e mi aveva tenuta a se come se avesse paura che da un momento all'altro potessi scivolargli dalle mani e sparire per sempre. Ero intontita dal dolore solo in parte, mentre la sensazione che mi aveva invaso corpo e mente era un anormale stato di calma e serenità, come se niente mi importasse più, come se rimanendo in quel limbo nulla avrebbe potuto provocarmi dell'altro dolore. Mi ero addormentata con il mio nome gridato dalle sue labbra, ne ero sicura, ma riuscivo a cogliere solo un decimo dell'intensità di quella supplica, distante anni luce dal presente che divorava quell'involucro che era il mio corpo. Certo, non potevo dirglielo. Non potevo anche solo pensare di considerare quei momenti come una benedizione, l'oblio che da anni pensavo di meritare. Mi avrebbe guardata con tristezza ed amarezza, sentendo per me una rabbia interiore per aver solo pensato di lasciarlo lì perché volevo semplicemente riposare un attimo. Mi avrebbe dato dell'egoista, mi avrebbe chiesto con che cuore avessi potuto dargli il compito di vegliare su di me mentre lasciavo il Valhalla. Beh, no, in realtà non avrebbe detto nulla di tutto questo: avrebbe confrontato la Serim con cui sapevo litigasse di tanto in tanto dentro di sé, con cui il suo Demone si sfogava ma che non faceva trapelare all'esterno perché aveva paura delle conseguenze. Lo stesso Demone che aveva trucidato quegli Abomini per arrivare a me e lo aveva ricoperto del sangue delle sue vittime, decorando il suo viso di corpose macchie rosse; davanti a me, a tenermi ben salda, era però subito riemerso Eric, quello che usava la distruzione per un fine e mai per volontà o delizia propria. Nel parlarmi i suoi occhi avevano riacquistato il suo solito colore e la pupilla era tornata alle dimensioni originarie ma riuscivo a leggervi un odio e una rabbia ancora palpabili, immersi in una pozza di colpa che minacciava di inghiottirlo tutto intero se avesse dimostrato il più lieve segno di debolezza.
    Tutto questo lo ricordavo ma non era necessario che lo facesse anche lui.
    «Beh, ricordo il necessario che mi ha portata a venire qui dentro. Quante ore sono passate e come sei riuscito a ferirti così presto dopo una missione di quel calibro. Con chi hai fatto a botte, uhm?» – Il mio tono scherzoso contrastava con il suo: austero, deciso, serio. Si sedette di fianco a me, giocherellando con il tubicino di quella flebo poco efficace che aveva fatto ben poco per tenermi idratata e di cui non mi ero nemmeno accorta. «Serim... Quando ti ho detto che hai passato due settimane a sognare lo intendevo letteralmente. Sei rimasta incosciente per 15 giorni» – Alzò timidamente lo sguardo, timoroso di avermi dato una notizia devastante. Volevo dire, certo, non era ottimale perdere giorni di vita in stato simil-embrionale ma... beh, non era la prima volta che mi capitava. Replicai facendo un fischio. «Beh, questo spiega perché mi sembra che abbia dei peli da grizzly sotto le ascelle» – Mi guardò, occhi spalancati. Iniziò a ridere senza riuscire a contenersi, lo sguardo di una confusione inaspettata: missione compiuta nel risollevare A LUI il morale. Ero proprio un genio.
    «Si, confermo, stai diventando sempre più stupida» – Mi tirò un buffetto sulla fronte e si alzò. «Ora chiamo il medico e ti faccio visitare, va bene? Saprà dirti in maniera migliore di me cosa ti è capitato, questo poco ma sicuro. Io ho un rapporto da dare e una probabile strigliata da sorbirmi. Fai la brava bimba e non muoverti, okay?» – Sospirai al tono condiscendente. Certo che sarei stata ferma, per lo più perché non avevo la forza per muovermi, ecco. Avevo aspettato due settimane e mo mi sarebbe toccato aspettare di più: la storia della mia vita.

    […]



    Non appena il medicò termino la sua incredibilmente noiosa routine, fui lasciata ai miei pensieri. Mi suggerì di mangiare almeno uno dei tanti dolci che mi avevano fatto recapitare in camera, alcuni dei quali sicuramente ingannevoli visto gli scherzi che io stessa avevo fatto negli anni... non potevo fidarmi di nessuno dei Fratelli, non se avessi voluto conservare l'intestino nel suo stato attuale. Fu da lui che appresi le specifiche, molte delle quali erano evaporate nell'etere delle mie scarse conoscenze anatomiche prima che si impelagassero in qualche angolo della testa. Avevo subito un danno più ingente di quel che avevano pensato tutti, il che voleva dire molto contando il panico generale che ricordavo aleggiare nel laboratorio mentre ero stesa in una pozza del mio sangue. L'artiglio che mi aveva perforata era impregnato di una sostanza nociva che mi aveva intossicato l'emoglobina e che, sin dalla prima notte, mi avevano provocato incubi che mi obbligavano ad auto-lesionarmi. Ecco spiegati tutti quei graffi e le innumerevoli piccole cicatrici che non ricordavo, giustamente, essere stati causati dai mostri: in una settimana e mezza non erano ancora totalmente guariti.
    Chissà che spettacolo raccapricciante: una ragazza semi-cosciente che urlava, si dimenava, si prendeva ad unghiate e si lacerava la carne ma che non aveva alcuna memoria del contenuto di quegli incubi né dei gesti. Avvinghiata al proprio letto, con una maschera per l'ossigeno che attutiva le grida e una flebo che le dava più vigore. Ci credevo mi fossi svegliata senza una gola.
    Il medico mi aveva anche detto che “finalmente il giovane Quinto può tornare a dormire in camera sua” il che mi aveva inondato il cuore d'affetto: quel ragazzo non sapeva davvero prendersi cura di sè stesso quando si trattava degli altri, il che era adorabile quanto da schiaffi.

    Era passata un'ora da quando Eric era andato via. Ne passarono altre sei prima che tornasse a farmi visita, tempo in cui ebbi modo di apprendere dai miei altri due compagni in campo le dinamiche precise di quello che era successo. A turno vennero sia Cal che Leona, nonché altri, chi per prendermi per il culo e chi per darmi un po' di compassione: non capii quale delle due opzioni mi venisse più stretta.

    Con Caliz parlai un po' di tutto, da quello che mi ero persa in quelle due settimane – a quanto pareva avevano fatto l'esame di Tecniche di Seduzione ed Eric era arrivato secondo, quel lurido pavone – nonché alcuni dettagli su come si era svolta quella fatidica giornata. Non volle confidarmi troppo in merito perché era l'amico più fidato di Eric e non avrebbe mai tradito la lealtà nei suoi confronti, non importava quanto mi considerasse la sorellina del gruppo né quanto tenesse a me. Mi rivelò soltanto, sotto mia imperterrita insistenza, che non l'aveva mai visto così, così “fottutamente incazzato”. Quando era arrivato nella stanza con gli Abomini lo aveva visto coperto di sangue dalla testa ai piedi e gli era parso, per alcuni secondi, che non lo avesse riconosciuto. «Per poco, pochissimo tempo, ho avuto la quasi certezza che pensasse fossi uno dei tanti nemici da abbattere» – Disse però che la sensazione era stata veramente fuggevole e che gli diede quasi subito un cenno di assenso. Prima di andare mi fece compagnia mangiando uno dei bruciacchiati muffin di Martha, la sua ragazza senza alcuna dote culinaria che aveva pensato di avvelenarmi nutrendomi con del carbone: o era troppo innamorato oppure aveva imparato a fingere che quella roba fosse commestibile. Tra un sospiro deliziato ed un altro, mi parlò con la bocca che perdeva briciole. «Ad ogni modo, visto che a me Eric non da alcun tipo di considerazione perché deve essere rivaleggiato da un livello di testardaggine pari o maggiore al suo...» – Un lieve sorriso gli increspò le labbra e non potei che ricambiare. «...diglielo tu che non è più necessario iscriversi a tutte le missione di caccia che sono a disposizione» –. Quello scemo non sapeva davvero come gestire le proprie emozioni, veramente. Cacciarsi in più guai possibile era la nostra carta segreta verso le difficoltà della mente: forse non ero l'unica stupida tra i due, mettiamola così.

    Dopo circa due ore passate ad ideare nuove creaturine di fuoco, molto piccole e molto simile ad aborti a causa della poca energia, arrivò anche Leona. Lei sì che non si risparmiò alcun dettaglio. Ingurgitando un intero sacchetto di zuccherini, e donandomene solo uno nonostante fossi appena scampata alla morte perché era una tirchia immonda, mi diede tutto il gossip che necessitavo, e forse anche di più.
    «Cal ha decisamente alleggerito l'intera situazione. Eric non era incazzato, Serim, era fuori di sé. Anzi, lo potrei considerare un altro episodio, per quanto breve, in cui ha avuto... un Incidente» – Mossi la testa di lato, confusa a questa affermazione.
    All'interno della Dimora i Fratelli erano di venti e più razze. Avevamo pane per i denti di tutti e se mai avessero fatto un documentario su di noi, ed avessero escluso il nostro ruolo in rapimenti, uccisioni, rapine e accidentali guerre politiche, saremmo figurati come il gruppo più eterogeneo e coeso del mondo, la comunità che aveva accettato le proprie differenze di razza per uscire più “forti ed acculturati”. Questo, ovviamente, poteva venire con dei lati negativi, uno dei quali erano gli Incidenti. Il termine era stato coniato quando un Fratello mannaro che io non avevo mai conosciuto aveva completamente devastato l'ala Sud, sfondando tre mura e rompendo entrambe la clavicole del professor Gemron. Gli Incidenti erano conosciuti qui dentro come quelle situazioni di pericolo per soggetti o/e struttura che coinvolgevano la propria razza: i miei Incidenti avevano a che fare con il fuoco, quelli draconica senza che ne avesse il controllo. Eric aveva fatto sorgere il Demone che era in lui e a quanto pareva le cose erano state un po' più gravi del “non mi aveva riconosciuto per un paio di secondi”.
    «Inoltre, da quel che ho capito, Eric è andato in isolamento per quattro giorni dopo che siamo tornati perché non riusciva a tornare in sé. Poi le cose si sono calmate lo stesso giorno in cui ti hanno incatenata al letto. Certo che combinate casini sempre con la stessa identica frequenza, eh» – Alzò le spalle, con nonchalance. Andare in isolamento non era poi troppo raro, ma un altro conto era finirci perché non avevi il controllo di te. L'avevano calmato a furia di solitudine e, sperai che non fossero giunti a tanto, privazioni sensoriali. Più Leo andava avanti a raccontarmi dettagli che all'80% coinvolgevano Eric e più mi sentivo svuotata. Dovette aver notato qualcosa di quel mio stato d'animo nel mio viso: dopo altri cinque minuti di conversazione mi lasciò riposare.

    […]



    Mi continuavo a rigirare nel letto, incapace di prendere sonno nonostante la pesantezza che provavo. Il sole aveva iniziato a calare e dalla finestra filtrava una luce arancione brillante in tonalità quanto tenue in intensità.
    Che casino.

    Eric-2
    Era da tanto che Eric non dava sfogo alla parte più cruda, senza filtri, di sé. Mi sarebbe bastato alzare la camicia per vedere, simmetrica alla nuova cicatrice, la ferita vagamente riemarginata che lui stesso mi aveva provocato, lasciandomi in fin di vita per circa una settimana prima che mi stabilizzassi. Dunque non ero certa cosa gli fosse scattato nel cervello, se per qualche ragione avesse pensato che la mia condizione a causa di quegli Abomini fosse dovuta a lui. Da quel giorno in cui Eric era scomparso e il suo Demone si era manifestato, in cui aveva ucciso un altro dei Fratelli e aveva mandato me ed uno dei maestri alla clinica sotterranea, non aveva avuto altri Incidenti: era stato la sua prima ed unica volta... forse fino a due settimane fa. Era lui stesso a non essersi mai accettato, a non aver mai fatto pace con quella sua razza che tanto odiava come a volte faceva molta della popolazione su questo pianeta. Si disgustava lui in primis: odiava la sua forza così superiore, la sua completa mancanza di empatia, la sua totale arrendevolezza verso un istinto che gli donava potere, sensi strabilianti quanto la sua voglia di mutilare. Sapevo che il problema fosse suo e non della sua appartenenza razziale in quanto nella Dimora c'era un altro demone e un mezzodemone che non avevano problemi con la loro natura e che la trattavano, giustamente, come un'estensione di sé e non come un essere staccato pronto a prendere il controllo. Non conoscerne le origini, non capire il lascito dei suoi genitori, era sempre stato qualcosa che l'aveva mangiato vivo dall'interno, forse più di molti altri Fratelli che condividevano il destino di orfani per obbligo. Aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di estremamente anomalo in sé ma non avrebbe mai ottenuto le risposte che cercavo finchè non avesse incontrato uno dei suoi genitori o qualcuno che li avesse conosciuti. Io ero convinta che prima avesse fatto i conti con il suo potere e più in fretta avrebbe potuto capire che esso non doveva necessariamente volgere al male.

    Nessuno, lì dentro, era perfetto.
    Eravamo tutti una miscela di un qualcos'altro. Avevamo in noi una componente umana che si mescolava a qualcosa di distinto ed unico. Cal era un umano bello, buono, fedele e su cui contare, ma al contempo poteva essere uno splendido drago in grado di decimare una radura, se lo avesse voluto. Era buono quanto spaventoso. Lo potevamo essere tutti, lì dentro. Come poteva esserlo anche Leona se avesse usato i suoi poteri angelici per prendere il sopravvento. La luce, nelle sue mani, si plasmava a volontà, sebbene non sempre in maniera positiva. Era a causa del suo lavoro, la segretezza che doveva mantenere, che le veniva impedito un uso vero e proprio per non attirare attenzioni. Erano entrambi due mezzumani potenzialmente temibili, e se qualcosa dentro di loro avesse fatto un click strano, se avessero un giorno deciso che la loro vita doveva essere volta a qualcos'altro o a qualcun altro più pericoloso e nefasto della Dimora del Drago, avrebbero di certo usato i loro poteri per trarne più vantaggio possibile. Io stessa avrei potuto svegliarmi un giorno e mandare a fuoco tutti quanti. Eppure non erano i nostri forse, le nostri possibilità ideali, le nostre strade non percorse a fare di noi qualcuno di malvagio. Eric aveva paura di sé stesso, del suo sé condizionale, probabile, futuro, e ciò gli impediva di vivere al pieno delle sue possibilità il sé presente. Aveva visto più cose di quelle che avevo fatto io, aveva letteralmente più demoni interiori di quanti ne avessi io... ma al tempo stesso eravamo spezzati nello stesso punto, forgiati nello stesso modo, cresciuti con gli stessi metodi. Non riuscivo a convincerlo che l'Essenza, il Demone, l'Angelo, il Draconiano dentro di noi fossero degni di sensibilità e comprensione come l'Umano che ci guidava. Non avevo abbastanza parole per dirglielo e farglielo intendere. Quella consapevolezza doveva partire e crescere da lui.

    Quando tornò nella camera dove stavo alloggiata, si appoggiò allo stipite della porta e ci stette finché non smisi di fantasticare e tornai nel mondo dei senzienti. Sorrise, e quando cercò di venirmi vicino lo fermai, con la voce e con un gesto della mano. Mi alzai dal letto reprimendo un sibilo di dolore, la ferita un continuo tirare tra punti e una lieve crosta di cicatrizzazione. Ignorai i suoi continui commenti, e se ne stette finalmente zitto quando gli lanciai un'occhiata di fuoco.
    Esalai un respiro incerto e rotto dallo sforzo prima di potermi rizzare completamente. Presi in una mano il bastone da cui pendeva la flebo e andai verso di lui a piccoli passi, esibendo una risatina di vittoria nei confronti di una sfida che nessuno mi aveva lanciato. Quando a separarci ci furono solo quattro dita, lo fissai per pochi istanti, assorbendo il nero profondo dei suoi occhi, calandomi per un attimo nell'abisso del suo animo dentro cui vivevano in contemporanea due Eric.
    «Sono Serim Quarta, ho quasi quindici anni, il mio migliore amico è un cerebroleso e sono prontissima per andare a mangiare qualsiasi cosa non contenga sostanze incriminanti» – Lo abbracciai, stringendogli delicatamente il torso e non protestai quando lo sentii sorreggermi con molta più forza del necessario.



    SO! Minchia, quasi due anni, yuhu boisssss. Contando la modifica nel regolamento cambiano le razze a cui volevo inizialmente fare riferimento per questo addestramento. Delle cinque razze da includere vorreI: Umano, Mannaro, Demone, Angelo e Draconiano. Si può? GG THANK U




    Scheda Serim Quarta {x}
     
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    Conoscenza studioso di razze appresa 1/2

    Ho letto entrambe le parti, ma purtroppo la prima non è considerabile valida ai fini dell'apprendimento della conoscenza se non forse in un passaggio di una riga, che però è troppo poco per giustificarne una valutazione positiva in questo senso... la seconda, invece, si concentra già di più sulla tematica delle razze e delle loro peculiarità, anche se con qualche piccolo errore (esclusi quelli di distrazione, che non conto).

    Tra gli errori, ne noto qualcuno di concordanza del numero:
    "L'acqua di traverso, e la tosse infinita che mi fece provare non poco imbarazzo, fu la scintilla che servì per far smuovere Quinto dal suo stato di morte apparente." che sarebbe dovuto essere "L'acqua di traverso, e la tosse infinita che mi fece provare non poco imbarazzo, furono la scintilla che servì per far smuovere Quinto dal suo stato di morte apparente."

    o

    "L'artiglio che mi aveva perforata era impregnato di una sostanza nociva che mi aveva intossicato l'emoglobina e che, sin dalla prima notte, mi avevano provocato incubi che mi obbligavano ad auto-lesionarmi." che sarebbe dovuto essere "L'artiglio che mi aveva perforata era impregnato di una sostanza nociva che mi aveva intossicato l'emoglobina e che, sin dalla prima notte, mi aveva provocato incubi che mi obbligavano ad auto-lesionarmi."

    e uno di forma

    "i miei Incidenti avevano a che fare con il fuoco, quelli draconica senza che ne avesse il controllo." che ha reso piuttosto difficile comprendere il passaggio.

    So che puoi fare di meglio, ma il racconto era estremamente godibile, quindi ti sbologno 8 exp e 120 guil
     
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2 replies since 30/7/2019, 13:13   441 views
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