Preludio: Il Prescelto

[Jillian Nexus]

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    3115331Prologo
    C O R R U P T I O ~ Il Prescelto

    Un lugubre sospiro si levò solenne in tutto il perimetro della stanza semicircolare. I servitori del Dio tenevano il capo chino in profonda devozione e rispettosa compostezza, assorti in preghiere ed inni oscuri, quasi macabri; la loro schiena -sferzata dalla sofferenza della frusta- era scarnificata all'osso. Dai loro occhi socchiusi si poteva scorgere un terrore atavico che come acido, si sentiva, stava letteralmente corrodendo le loro essenze, le loro anime: era quello il prezzo da pagare per un potere tanto immenso come quello del Caos.
    Un antro oscuro, tenebroso, asfittico: l'aria che si poteva respirare era nient'altro che un minuscolo frammento di Hati, aggregazione di odi e rancori primigeni. L'Orfano pareva assente, perso in una dimensione del tutto sconosciuta, quasi dissolto nella contemplazione di una carezza materna, divina Entropia. Il Forgotten Realm era ciò che di più simile a Valhalla poteva esserci, una dimensione parallela sospesa tra il mondo dei Fratelli e quello della Madre, una sorta di conglomerato andatosi a creare nella disperazione e nella solitudine di un grembo freddo e stanco: quella condizione così precaria andava consumando man mano il potere pressoché infinito del Dio, causandogli una sensazione di disgusto e nausea umana, fin troppo umana.
    Alla sua destra, su un trono irto di spine e coperto di disgustosi esseri striscianti, giacevano le ancelle sacrificali, donne dilaniate dallo sguardo e dal ventre del Dio, da quell'impulso torbido di dominazione ed affermazione sessuale. Dai loro freddi grembi -ormai nido di vermi e corruzione divina- fuoriuscivano dei piccoli bambini malformati, nati dal seme caotico dell'Oscuro Signore. Se ne nutriva, masticando quelle tenere ossa attraverso l'immagine distorta di sé.
    Tutt'attorno, il silenzio e quanto di più sgradevole ci potesse essere per un costrutto di Valhalla.
    Era Fehor, signore del Caos, figlio di Entropia ed il primo dei due Orfani. Nella sua forma umanoide sembrava assente, una proiezione astrale in una dimensione mezzana. Non si muoveva, immobile nel suo dolore di sentirsi incompleto, come una statua di cera. La pesante e sontuosa armatura teneva a bada chiunque volesse rivolgergli parola, costringendoli a chinarsi sul duro marmo per ottenere benevolenza. Sul piedistallo in ceramica, qualche metro più in basso dell'Oscuro Signore, vi erano due guardie caotiche: l'una armata di ascia, l'altra di scudo e spadone a due mani. Sorvegliavano fieri nel portamento e nello sguardo il corpo esanime di una giovane donna che gravava nelle più umilianti delle condizioni. I loro volti inespressivi tradivano un certo divertimento nel vedere il frutto delle loro torture, nient'altro che un assaggio di quello che realmente l'aspettava.
    Crocifissa ad un'architrave in legno, i chiodi che le trapassavano da parte a parte le mani e i piedi, sanguinava copiosa da ogni orifizio, da ogni lembo di pelle seviziato. Violentata forse perfino oltre la stessa concezione umana da un terrore e da un desiderio così corrotto da trascendere ogni significato terreno, era ciò di più malridotto potesse essere concepito. Il corpo sferzato da colpi brucianti di frusta ripiegato su se stesso, quasi accartocciato con flemma a causa delle numerose fratture alle gambe, tenute assieme da bende così strette sino a bloccare la circolazione sanguigna. Era nuda, nuda come un verme, con l'orgoglio e la dignità di donna calpestati da quell'oscuro scempio, nient'altro che un mero giocattolo tra le mani delle divinità.
    Una presenza mosse il braccio sinistro: si potevano percepire il dolore e le urla strazianti della donna torturata poc'anzi, un dolore così intenso da indurla allo svenimento. Ma non era quello il momento per riposare.
    « Apri gli occhi, Prescelta. » Tuonò quello con l'ascia. Il momento era giunto. Il momento in cui tutto sarebbe cambiato.
    Il momento in cui la Draconiana avrebbe conosciuto l'eterno potere, a costo della sua stessa vita.

    CITAZIONE
    Benvenuta in quella che sarà la scena d'apertura dell'intera quest. Da come penso avrai capito, ti trovi nel Forgotten Realm. E' un luogo sospeso tra le dimensioni di Valhalla e le due dimensioni dei pianeti degli Orfani, in questo caso quello di Fehor: Hati.
    Jillian è stata catturata e trasportata in questa dimensione, torturata e violentata per ore e poi crocifissa ad un'architrave in legno che oltre a renderle difficoltosi i movimenti la prosciuga d'ogni potere (draconico e non).
    La condizione psicologica è, forse inutile specificarlo, del tutto devastata. E' come se si subisse una ferita psionica Alta continua.
    Al comando del demone (servitore di Fehor) Jillian dovrà svegliarsi: le prime sensazioni che proverà saranno un profondo ed intenso dolore fisico, seguito da una paura psicologica senza eguali che le renderanno difficile opporsi a quel supplizio, o anche solo sorreggere lo sguardo dei due. Ti consiglio caldamente di non incrociare mai lo sguardo con Fehor, potresti indurre il tuo personaggio al coma.
    Come sia arrivata in quel posto è a tua discrezione: è stata teletrasportata immediatamente lì, ma quello che stava facendo prima lo puoi decidere tu.
    Ti avverto che la quest potrebbe avere più di un finale/svolgimento: ogni azione compiuta nella tua narrazione modifica gli eventi e rende più o meno difficile il percorso da compiere. Fai dunque attenzione e scegli ponderatamente chi abbia visto Jillian per l'ultima volta.... Indizio? Fiducia, debolezza e devozione.
    Ps Ricorda che la quest di svolge due anni dopo l'inizio del GDR, dunque Jillian è più grande di due anni rispetto l'età della scheda, idem eventuali altre persone con le quali può aver interagito.


    Edited by Yuffie - 31/12/2015, 20:45
     
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    «Stupida Mocciosa! Impara a usare quelle fottute gambe come si deve!»
    Con attenzione la guardavo mentre combatteva contro un avversario scelto appositamente dalla sottoscritta: era ormai un anno che avevo preso l’abitudine di farla confrontare anche con persone al di fuori di me, così da poter osservare esternamente quali potessero essere i suoi errori, e quali movimenti potessero suggerire al nemico la sua prossima mossa.
    Ricordavo ancora quando, due anni prima, mi chiese di essere il suo mentore per trasformarla in un’assassina; ricordavo bene l’espressione da cane bastonato dipinto sul volto, il timore per il mondo intero. Le poche volte che tirava fuori gli artigli era quando si trovava a doversi relazionare con gli uomini, ma avevo imparato che l’aggressività celava una paura che si era insidiata in lei piantando radici profonde. Ora, a distanza di due anni, era riuscita a sviluppare un maggiore controllo, seppur l’avversione per il sesso opposto era ancora fortemente radicato e facilmente visibile.
    Ero lì, a poca distanza da loro con un’asta metallica in mano, pronta a intervenire a ogni suo errore, evidenziandolo con un colpo ben assestato alla zona del corpo traditrice. In tutto quell’arco di tempo non mi ero mai ammorbidita, né le avevo mai parlato in maniera diretta di me; a dire il vero non si parlava molto in generale per via della mia indole non solo riservata, ma anche taciturna. L’unica cosa che poteva sapere per certo era che ero un’insegnante intransigente e severa: erano più le volte che era tornata nella sua dimora con ferite causate da me, che quelle in cui tornava solo con qualche livido.

    Era parecchio tempo che ci trovavamo in quell’arena, e durante l’ultima ora mi gravava, come un macigno, una sgradevole sensazione. Pur non mostrando alcun senso d’inquietudine esternamente, la mente aveva iniziato a lavorare, sfruttando anche la seconda vista per comprendere se nei dintorni fosse presente qualche individuo particolare. Nulla, non riuscii a scoprire nulla di strano: niente era fuori posto, nessuno si comportava in maniera strana. Alla fine, sfruttando come scusa l’ora dei pasti, mi congedai dalla coppia. Uscita dal campo d’addestramento la sensazione di oppressione e inquietudine si affievolirono fino a sparire totalmente, per quanto fosse strano ne ero comunque sollevata. Forse si trattava semplicemente di qualche esperimento di mago o psion finito male.

    Il resto del pomeriggio lo trascorsi tranquillamente nella mia solita routine vacanziera, dimenticandomi completamente di quanto provato nelle ore precedenti. Fu nel momento in cui mi trovai sola nella mia stanza che, per forza di cose, ricordai quanto avevo provato in poco tempo prima: la sgradevole e opprimente sensazione d’inquietudine, ora accompagnata dal sentore della morte, divenivano ogni istante più forti, senza che potessi capire come ciò fosse possibile. Ero sola, ed ero sicura che lì non fosse entrato nessuno in mia assenza. Mi alzai dal letto su cui ero sdraiata, contro ogni altro impulso di rimanere sulle morbidi coltri e chiudermi in posizione fetale in attesa che tutto sparisse; rimasi poi immobile, in piedi, con Sinéad impugnata in una mano e Àin nell’altra, combattendo ora contro il desiderio di fuggire da quel luogo. Dovevo capire cosa mi stesse influenzando e risolvere il problema.
    « C’è qualc- »
    Non ebbi il tempo di concludere la frase che il suono secco di legno sfondato da un colpo pesante attirò la mia attenzione alle mie spalle; là dove una volta c’era la scrivania su cui spesso m’intrattenevo nei miei studi, ora c’era l’ascia di un imponente guerriero in armatura che mi osservava.
    Strinsi convulsamente le mani intorno alle impugnature delle mie armi.
    L’atmosfera era soffocante, come se improvvisamente le scorte di ossigeno fossero state risucchiate, il mio respiro era affannoso.
    « Cosa vuoi? »
    Non un suono venne prodotto da quel guerriero, in compenso potei percepire un movimento alla mia destra. Ebbi appena il tempo di rendermi conto di cosa stesse avvenendo che una mano protetta da una solida armatura avvolse il mio braccio. Un istante, un momento, e senza preavviso mi ritrovai in un posto che non aveva nulla di familiare, un luogo che anche senza vederlo nella sua interezza destabilizzava l’emotività. Non sapevo dove mi trovassi, ma quando vidi il primo guerriero caricarmi, mentre il primo continuava a tenere salda la sua presa, compresi che mi trovavo nella merda.

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    Quella parte della mia esistenza che avevo avuto di vivere dal momento in cui avevo perso il mio unico vero legame affettivo, lo avevo sempre vissuto in maniera piena, in ogni sfumatura che riuscivo a cogliere, con l’intensità che la mia anima mi concedeva. Non ero il tipo da amore, né dall’amicizia salda ed eterna, al contrario ero il tipo di persona che adorava l’adrenalina che entrava in circolo durante una lotta, quella che ogni scelta che compieva era misurata, calcolata. Una maniaca del controllo che al tempo stesso viveva le emozioni che la vita le aveva concesso.
    Paradossale?
    No. Ero io che avevo deciso anche in merito a quella parte di me. Il controllo della propria vita, delle proprie emozioni erano sempre state un vanto per me e lo avevo perso. Avevo perso quel qualcosa che mi ero costruita faticosamente nell’ultima parte della mia vita, quella per cui avevo combattuto contro me stessa con le unghie e con i denti. Orgogliosa e fiera donna, sempre con una qualche soluzione, anche di fronte alla morte; donna che piuttosto che farsi dominare si sarebbe gettata fra le braccia di Spirae, scelta che ora mi era stata preclusa.

    Ero in quel luogo da un lasso di tempo per me indeterminabile, lo avevo visto senza mai immagazzinare i dettagli, solo immagini confuse, impressioni, mentre cercavo in tutti i modi di non piegarmi al volere dei miei avversari. Avevo tentato di combattere con criterio, con strategia, rendendomi ben presto conto che era un’inutile sforzo mentale, mi ero così lasciata andare alle emozioni, quelle primitive, quelle che spingono una qualsiasi creatura senziente a impiegare tutte le proprie risorse per sopravvivere, per uccidere coloro che la volevano morta. Continuai a ribellarmi, a mostrare la mia forza, il mio desiderio prevalere su quegli esseri, nascosti da armature solide e dall’aspetto temibile.
    Artigli di drago che si scontravano contro il freddo e duro metallo, sfere di titanio che cozzavano contro elmi che non lasciavano intravedere nulla, sfere di elettricità, figure eteree che venivano scagliate con forza e rabbia contro due esseri che non mostravano alcun accenno di fatica né di dolore.
    Inscalfibili, imbattibili.
    Ruggivo e urlava di rabbia, ma anche di dolore: ogni colpo che io infierivo era come brezza sulle loro particolari forme; ogni colpo che loro infierivano al mio corpo, era come se fosse inferto anche al mio spirito. Bruciava dentro di me, divorandomi, soffocandomi, annichilendo la mia forza interiore, il mio desiderio di essere al di sopra di tutti. In confronto a loro ero come un gattino che prova a spaventare una delle creature dello Yalthren, utile solo a far ridere gli spettatori. Ciò però non mi fermava, continuavo a combattere, e lo avrei fatto almeno fino a quando non mi avrebbero uccisa, fino a quando la mia anima non sarebbe stata strappata dal mio corpo… o almeno di questo ero convinta.
    La realtà fu ben diversa dalle mie intenzioni, loro non volevano uccidermi, loro volevano semplicemente annullarmi, rendere la mia anima malleabile come creta, il mio carattere mansueto e obbediente come mai era stato. Questa idea iniziò ad affermarsi nella mia mente, mentre, dopo aver esaurito ogni mia energia, dopo essermi accasciata su un fianco, incapace di sostenere anche solo il mio peso, compresi che quanto avevo appena vissuto era solo l’inizio. La mia pelle era stata già lacerata, la mia carne era stata incisa profondamente, e le mie ossa si erano già spezzate sotto i colpi assestati dalle armi. Sinéad mi era stata totalmente inutile, così come erano stati inutili i proiettili sparati da Áin, al contrario le loro compagne erano riuscite laddove neanche i miei poteri avevano avuto successo. Semplici armi erano riuscite a ridurmi in quell’ammasso di carne dall’aspetto umanoide e draconico.

    Forse se mi fossi arresa fin da subito, se avessi alzato semplicemente le mani fin dal primo momento in cui mi ero resa conto che contro di loro nulla poteva, quella tortura sarebbe finita molto prima e non ne sarei stata così intimamente intaccata. Purtroppo la mia mente aveva attivato quel particolare meccanismo che mi impediva di abbassare la testa anche contro colossi come quelli che mi trovavo dinanzi, dandogli così una ragione in più per violentarmi non solo a livello carnale, ma anche a livello emotivo e spirituale. Lentamente, senza che potessi fare nulla, sentivo la mia vena combattiva spegnersi, e con essa ogni mia volontà. Inizialmente in quel luogo rimbombavano le imprecazioni, successivamente si potevano udire solo i gemiti di dolore, accompagnati da singhiozzi soffocati non tanto dalla mia volontà, quanto dalla debolezza che mi attanagliava.
    Mi stavo spegnendo, svuotando di ogni cosa. La mia anima ostinatamente ancorata a un corpo che stava divenendo inutile; la mia mente che si allontanava dalla realtà alla ricerca di quel poco di conforto che poteva dargli la dissociazione dal mondo.
    Stanca… ero così stanca di oppormi, di pensare, di vivere. Al tempo stesso non avevo neanche la forza di reclamare per me l’oblio.
    Non avevo le forze per nulla.
    Ogni parte di me si stava svuotando.
    Gli occhi, ormai vuoti, si chiusero, donandomi la pace dell’oscurità.

    Dolore, ancora, anche se questo era diverso, era acuto, localizzato ma non più straziante di quello che riuscivo a provare nella mia semi-coscienza. Sussultai, non ero in grado di fare altro, a malapena riuscii a sollevare le palpebre per tentare di comprendere quanto stava avvenendo. Ero distante dal pavimento di qualche metro… Quanti?
    Altro dolore, questa volta era localizzato in tutta la zona delle gambe. Un altro sussulto. Forse avrei urlato, ma non riuscivo neanche a comprendere da cosa dipendesse. Alla fine mi lasciai nuovamente andare, ne avevo bisogno, era stato così bello non provare nulla.

    Qualcosa s’insinuò in quella pace che avevo agognato tanto, qualcosa di forte, con forte ascendente sulla mia volontà; era una voce familiare e al tempo stesso estranea. Faticosamente aprii gli occhi, senza che potessi assecondare quello che era il mio desiderio. Nei primi istanti non ricordavo nulla, cosa fosse successo, chi fossi, qualunque cosa fosse connesso alla memoria mi era precluso. Ebbi appena il tempo di osservare quel luogo etereo e al tempo stesso concreto, di fotografare mentalmente le donne riverse a terra con il ventre squarciato che il dolore m’investì come un’onda anomala di sensazioni. Non ero pronta, ma non potevo evitarlo. Al dolore si susseguì con altrettanta violenza la consapevolezza di quanto fosse accaduto fino a poco tempo prima; appena il tempo di vedere le armature dei miei seviziatori, che il terrore s’impadronì di me, impedendomi di sostenere il loro sguardo.
    Una domanda venne formulata nella mia mente, senza che fossi io a pensarla realmente. Semplice, pulita e posta con un tono che lasciava trapelare timore…
    « Perché? »
     
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    C O R R U P T I O ~ Il Prescelto
    S E C O N D O N E C R O L O G I O

    L'odore metallico del sangue impregnava l'intera sala, uno sfondo macabro che trovava manifestazione palpabile nell'intima sofferenza della Draconiana, provata sin dentro le viscere dal folle e banale dolore del male, ormai arresasi ad ogni tentativo di rivalsa. Accartocciata in sé stessa, annichilita da quei pesanti e fetidi sospiri, presto s'accorse di non avere nemmeno la forza di sorreggere lo sguardo dei due caotici. Crollò come un castello di carte al vento, con una facilità tanto impressionante da contrariare leggermente l'Orfano, che per tutta la durata del macabro spettacolo restò immobile, in massima contemplazione, forse in attesa di un'eventuale presa di posizione da colei che considerava abbastanza degno da ricevere il suo tocco.
    Sottomessa, intimamente spezzata in un modo tale da lasciar trapelare sorrisi su quei volti deturpati e privi d'espressione reale, era ciò di cui l'Oscuro Signore aveva bisogno. La bestia era stata domata, e con essa ogni pulsione. Smarrita in fugaci silenzi, in perfide e debilitanti malinconie, umane, troppo umane. Provò uno strano e familiare senso d'appartenenza per quell'espressione deturpata dall'ego viziato d'infami servitori, memorie di quando Valhalla era la sua casa, di quando ancora non era stato confinato dalla sua progenitrice in una realtà tanto fredda quanto pungente. La memoria di quella sofferenza primigenia gli sconquassò il petto, e finalmente capì quanto facesse realmente male: il Reame Dimenticato non era posto per chi, come lui, preferiva brancolare fra il deserto terreno di Hati.
    L'appagante e distruttiva sensazione di vuoto che l'aveva indotta alla dissociazione era in realtà nutrimento e sostentamento per chi proveniva dalle lande oscure dei confini dell'universo, per chi in qualche modo batteva quella via di perversione e depravata angustia traendone forza, incubi liquidi e legami infranti. Sembravano esserne usciti rafforzati, come bere nettare divino alla Fonte del Peccato, il manufatto di Hati che permetteva quella strana e particolare connessione al mondo dei senzienti.
    Fehor quasi provava pena nel vedere, con occhi di vetro, come i suoi sottoposti mancavano di spina dorsale, per niente abituati a trattare con donne valhalliane, indeboliti dai sacrifici e dalla castità.
    I caotici la osservarono, intimamente soddisfatti da quegli istintivi e primitivi piaceri della carne, riconoscendo quanto quell'umanità appartenesse anche a loro, esseri vacui e privi di scopo alcuno. Come ordinato segretamente dal loro padrone, restarono immobili come statue di cera al sole, attendendo il risveglio di colui che avrebbe portato ordine e comprensione nei piani del Caos, chiarezza in quell'inferno di pece.
    Il profumo di Jillian li aveva come risvegliati da un sonno durato troppo a lungo: un profumo acre, quasi acido che lentamente aveva cominciato a corrodere le loro brevi vite. Forse il Progenie ci aveva visto giusto. Forse era davvero la prescelta. Il solo dubitare di questo provocò in loro un dolore tanto acuto da costringere il guardiano armato di spadone ad accasciarsi al suolo, privo di vita: il prezzo di chi non offriva i propri servigi oltre una valida motivazione, per una prospettiva più grande.
    Il collega che invece si era redento lo guardò di sbieco, un disprezzo crescente che lo fece letteralmente sciogliere al suolo, ormai solo un mucchio di cenere al vento. In quella dimensione niente aveva senso, ma tutto rientrava perfettamente nello spirito distruttore di Fehor, unico ed imparziale giudice del male.
    Poi un sussurro dal sapore amaro, voce rauca e distorta di colui che albergava l'essenza del prescelto.
    Dalle profondità più recondite si fece sentire, manifestandosi sul terreo volto della donna. Fu solo allora che l'Orfano si sollevò dallo scranno d'ossa, scaraventando all'aria il lauto pasto che stava consumando, vittime mietute da un desiderio e da una sete insaziabili.
    Ossessione convulsa e demoniaco candore che si manifestarono in una sola e furente scarica d'Oblio: investì l'intero perimetro dell'Arena, rendendo ancora più difficoltoso lo scambio di ossigeno. La Draconiana si sarebbe sentita soffocare, privata dell'essenza vitale d'ogni essere umano. La vicinanza al Divino era quanto di più precario e depravato ci potesse essere. « Dracos, amico mio. »
    La figura oscura non sembrava esistere realmente. La voce proveniva da più lati, ed era una voce che scavava nell'essenza di chi l'ascoltava, nient'altro che mero presagio di morte. Era a lui che si stava rivolgendo, alla metà più nascosta di Jillian. Egli stesso se ne sarebbe sentito tremendamente attratto, tirato in causa da qualcuno più grande di lui.
    Non avrebbe forse riconosciuto il Dio, lo stesso che secoli prima lo aveva costretto a scindersi dal tutto, dalla fonte della sua forza, per poi indurlo a perdere tutto ciò che aveva di più caro: i suoi ricordi. La vita che aveva condotto fino a quel momento era nient'altro che una mera finzione, un castello di sabbia creato appositamente da coloro che vegliavano sull'ordine universale.
    Dracos, della prima stirpe del Progenie. Il secondo drago più potente che la Dimensione potesse conoscere. Il diretto discendente dell'Arxaios.
    « Ho qualcosa che ti appartiene. È giunto quel momento. »
    Nella mano sinistra del Caos si materializzò quello sembrava essere un comune guanto d'arme di fattura superiore. La gemma scarlatta incastonata al centro brillava di luce propria, nucleo vitale del Progenie: era un pezzo della sua anima. Le scaglie draconiche sembravano muoversi, tendersi verso il corpo della flaemita: l'oscuro richiamo di ciò che prima era parte del tutto, ora desiderosa di unirsi di nuovo al suo padrone.

    1673305élan
    « Il figlio del Progenie, Élan: la furia dei Draghi. »


    In un attimo il nulla si concretizzò in un unico schiocco di dita di Fehor, poi il Buio e il viaggio verso l'Inferno. Attraversalo a testa alta, Jillian.

    CITAZIONE
    La scena si conclude con Jillian che sprofonda nelle tenebre e ritorna nella dimensione di Valhalla. Si ritroverà vestita e distesa su di un morbido letto in una residenza ignota (non ti trovi in Cittadella, né a Velnoor), completamente guarita e senza nemmeno un graffio: la violenza e il dolore sono solo un mero ricordo di quanto accaduto nel Forgotten Realm. La descrizione della stanza la lascio a te, sappi solo che è molto sontuosa, sfarzosa e dal gusto un po'...tenebroso. Se indovini la locazione o solo la fazione ricevi un bonus in Exp a fine quest.

    La devastazione psicologica, in ogni caso, rimane: soprattutto perché quello ad essere scosso adesso è Dracos.
    Per essere più chiari, poiché questa parte è nuova anche per te: Dracos fa parte assieme ad un ignoto (che conoscerai a tempo debito) della prima stirpe del Progenie, uno degli Arxaios più potenti cui draconiani sono, diciamo, i diretti discendenti. Dracos è però diverso: era il più potente, forse secondo solo al Progenie stesso. Per questo motivo Fehor, indispettito dalla pericolosità dello stesso decise di resettargli la memoria e di rubargli Élan (Artefatto catalizzatore del suo potere) e di indebolirlo. Così Dracos divenne un semplice spirito draconico che si ricongiunse poi a Jillian. Il resto della storia la conosci.
    Sia per piani segreti di Fehor che per motivi di trama non posso spoilerarti molto, ma posso dirti che tale Artefatto deve per forza di cose ritornare tra le mani di Dracos.
    Jillian è dunque, al momento, il Draconiano più potente nel GDR e molto probabilmente nella storia di Valhalla.

    Ps La voce di Fehor ha fatto completamente risvegliare la memoria di Dracos, di conseguenza ricorderà tutti i fatti antecedenti alla sua attuale vita con Jillian, per questo motivo sarà molto irato e scosso dal tradimento di Fehor (i due erano alleati, all'alba dei tempi. Fehor lo tradì. Per eventuali altri dettagli sai dove trovarmi), dunque vorrà uscire e manifestarsi: sarà difficoltoso trattenerlo. (Sono stata imprecisa di proposito, capirai lo stesso andando avanti con la quest).

    Élan è alla tua sinistra in forma di guanto d'arme, puoi toccarlo, esaminarlo. Ma non indossarlo ancora.
    Sei sola. Post di ripresa.
     
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    Priva di forze, con la volontà schiacciata sotto una moltitudine di ferite e da una forza che andava oltre le mie capacità, la mia concezione nonché conoscenze. In altre occasioni, con altre condizioni avrei senza dubbio continuato a combattere, quella era la mia indole, quella ero io; le cose stavano diversamente però, e in quel momento potevo apparire come una bambola in scala naturale, che un effettivo essere vivente. Le uniche capacità che mi erano effettivamente date erano quelle di poter osservare terrorizzata l’ambiente circostante, senza elaborare dei pensieri concreti. Le emozioni che tanto amavo tenere sotto il mio controllo erano riuscite ad avere la meglio sulla razionalità.
    Potei percepire la soddisfazione dei due cavalieri in ciò che avevano compiuto, poi, senza che vi fosse una vera ragione, l’uno si accasciò al suolo, l’altro semplicemente si liquefece A peggiorare la situazione vi fu la voce di Dracos che risuonava sia nella mia mente che dalla mia gola, inconsciamente sapevo che questo non doveva essere possibile, non doveva poter parlare attraverso me.

    Improvvisamente l’atmosfera cambiò, la stessa aria sembrò divenire più densa, pesante a tal punto da rendermi difficile respirare: mi mancava l’ossigeno e l’aria, che fino a poco tempo prima sembrava essere “normale” ora era divenuta asfissiante. Qualcosa di esterno alla mia volontà cercò di alzare ulteriormente lo sguardo, riuscendo a scorgere l’armatura del cavaliere che fino a quel momento se ne era stato a disparte, osservando quello che doveva ritenere essere uno spettacolo interessante. Il cavaliere parlò, nominando il nome di quello che fu il mio mentore.


    Qualcosa dentro di me, un impulso antico, mi bloccò dal sollevare la testa della donna fino a incrociare gli occhi del cavaliere. Sentivo l’affanno della mia “compagna”, potevo anche sentirne il dolore, seppur fosse filtrato. Non ero io in quel momento che avevo possesso del suo corpo, non del tutto almeno, semplicemente mi limitavo a influenzare la sua volontà, la manovravo come avevo imparato a fare nel corso del tempo.
    La voce imponente di un essere che trascendeva la vita sul Valhalla, ferma, pervasa di oscurità, di caos. Era ovunque, riempiva ogni spazio di quel luogo. La morte sembrava che stesse sfiorando la pelle di Jillian, insinuandosi nelle sue carni, senza però darle modo di afferrarla, di strattonarla a sé costringendola di fare in modo che quel supplizio, quell’umiliazione finissero.
    Le sue parole risvegliarono qualcosa in me, qualcosa che era rimasto per secoli sepolto, staccato dalla mia coscienza, dal mio stesso essere, qualcosa a cui qualunque essere avente la facoltà di ragionare risultava essere essenziale, vitale: i ricordi. Erano ciò che modellavano la coscienza di una creatura, ciò che faceva sì che sviluppasse quelle conoscenze, quel carattere. E ora sapevo che ne ero stato privato, privata del mio essere, di una parte integrante della mia essenza.
    Se le corde vocali me lo avessero permesso, avrei ruggito.
    Se solo i miei artigli me lo avessero permesso, avrei attaccato.
    Se solo i miei poteri lo avessero permesso, mi sarei scagliato contro di lui.
    Ma non potevo, ero rinchiuso in un corpo esamine, un corpo privo della forza di spezzare anche un fuscello. Mi aveva privato della mia stessa esistenza per secoli, e ora mi stava privando anche del corpo in cui ero stato imprigionato.
    « Cosa vuoi. »
    Più che la voce, fu la forza mentale, la rabbia che governava nel mio spirito a dare il tono giusto a quelle semplici parole, categoriche, ferme. Se prima temevo per me e quella creatura semi-umana, ora la paura aveva lasciato spazio a un sentimento che tanto accumunava noi. Sapevo chi ero, sapevo chi dovevo essere, e forse tale consapevolezza mi spinse a osare laddove un normale umano, consapevole di trovarsi dinanzi a Fehor, il Dio Caotico, non avrebbe osato.
    Dal canto suo la flaemnita era ancora troppo debole per rendersi conto cosa stesse effettivamente avvenendo. Immagazzinava le informazioni passivamente, le avrebbe elaborate in un secondo momento, quando sarebbe stata più in forze.
    Il Dio Caotico riprese a parlare, annunciandomi che mi avrebbe restituito tutto ciò che era di mia proprietà, annunciandomi che il momento era finalmente giunto. Un piccolo, minuscolo bagliore di luce in un momento intriso di oscurità. Per quanto potessi essere felice di quella notizia, tutto ciò che ne aveva fatto da contorno aveva offuscato quel momento, lasciando che la rabbia continuasse a essere crescere, calda e invitante come non la sentivo da secoli. Nella Sua mano si materializzò uno strumento a me caro, importante come può essere il cuore di un senziente nel proprio petto, un oggetto di manifattura pregiata, avente in sé una parte del mio essere.
    Guardai Élan con occhi ricolmi di desiderio, di nostalgia e un qualcosa di più intimo, un qualcosa che in pochi avrebbero mai potuto comprendere. Parte della mia esistenza era lì, a pochi centimetri da me, stretta nelle mani del Traditore.
    Le sue ultime parole mi spinsero ad alzare lo sguardo per poterlo vedere in volto, in un gesto tremendamente umano che mi avrebbe potuto portare alla distruzione se prima di portarlo a compimento un bagliore di oscurità non ci avesse avvolti.
    Rimasi interdetto quando compresi che mi stava restituendo ciò di cui mi aveva privato tempo prima.


    Distesa su un fianco, con un braccio poggiato su un antico cimelio: le dita della donna che s’incastravano fra quelle dell’artefatto. Lenzuola di seta rossa, cuscini privi di fronzoli, ma che lasciavano intendere il buon gusto di colui che si era preoccupati di questi dettagli. Un letto con la struttura in legno massiccio dal colore molto scuro, con intagli dalle fantasie astratte. Pavimento in marmo scuro, con tappeti collocati nei punti giusti, come i lati del letto, la zona probabilmente adibita alla lettura e quella celata da un paravento con struttura avente linee ondulate, e l’imbottitura con motivo damascato. Tendaggi leggeri coprivano le finestre, filtrando la luce dalle finestre, luce che non sarebbe riuscita a fare luce sull’alone di oscurità che avvolgeva l’abitazione; oscurità percepibile sulla pelle, visibile con la coda dell’occhio, che avvolgeva gli ospiti della struttura, senza che essi comprendessero cosa gravasse sul loro animo.
    In questa stanza, che ben poco si addiceva al suo modo di vivere, si risvegliò Jillian, con le dita ancora intrecciate con quel particolare oggetto.

    Sentivo le palpebre pesanti, con fatica riuscii ad aprire gli occhi, incredibilmente stordita nonostante mi fossi appena risvegliata. La prima cosa che ebbi modo di vedere fu un l’oggetto dei miei incubi. All’istante la mia mente tornò ad essere operativa, mentre i miei occhi si spalancavano e un senso di rabbia misto a terrore attraversava la mia schiena in un brivido. Quasi all’istante mi distaccai dall’oggetto, guardandolo come se avessi vicino una creatura aberrante, esistente solo in mitologie orrorifiche. Mi sedetti, continuando a tenere lo sguardo puntato su Élan mentre la mia mente concretizzò che quanto avevo “sognato” era realmente accaduto, eppure non sentivo nulla: non più il dolore dovuto dalle sevizie subite, né quel desiderio di lasciare il mondo dei vivi e congiungermi al mondo di Spirae. No, ora sentivo qualcos’altro, qualcosa di caldo, di violento che cresceva dentro di me e che reclamava vendetta. Era un sentimento che conoscevo bene ma, che per una volta, ero sicura non mi appartenesse.
    Mi guardai intorno cercando di capire dove mi trovassi, notando che la stanza mi era totalmente sconosciuta, e mi trasmetteva un senso di oscurità. Mi alzai, dirigendomi verso uno specchio, collocato al di sopra di una cassettiera finemente intagliata, volendo assicurarmi del mio stato fisico. Quando scorsi l’immagine riflessa indietreggiai spaventata: l’immagine di un drago dalle scaglie color argento mi stava fissando con profondi occhi rossi, in quel preciso istante nella mia mente soggiunse un ruggito irato. Improvvisamente fu come avere una bestia dentro di sé che brancolava alla ricerca di un modo per uscire dalla propria gabbia.
    Quei occhi rossi come bracieri continuavano a fissarmi, mentre il suono di creatura selvaggia continuava ad echeggiare dentro di me. Un’artigliata, e fu come se qualcosa stesse cercando di lacerarmi l’addome dall’interno. Mi piegai in due, boccheggiando mentre con una mano mi aggrappavo al mobile cercando sostegno per non cadere a terra.
    « Cosa… stai… facendo…»
    Dentro di me era nata la consapevolezza che quello altri non poteva essere se non Dracos, i ricordi di quel “non sogno”, il modo in cui riusciva a influenzarmi la mente… e una sensazione, un presentimento che stavo covando dentro di me, combinati all’immagine che avevo visto nello specchio e il costante marcato ruggire nella mia mente, rendevano praticamente certezza.
    Non ricevetti risposta, ma dal modo in cui lo percepivo muoversi dentro di me, potevo comprendere che stava cercando in tutti i modi di uscire prendere il sopravvento sulla mia coscienza così come aveva fatto già nel “non sogno”. C’era una differenza però: per quanto fossi scossa per l’incontro – perché era stato un incontro? Era successo veramente…. No? – ero anche abbastanza stabile e ferma mentalmente da cercare di non lasciare che mi soppiantasse nel mio corpo.
    Lentamente e faticosamente mi trascinai verso il letto, buttandomi sul materasso, mentre cercavo di tenere a bada quella creatura, più antica e incazzata della sottoscritta.


    CITAZIONE
    Note: Nel pezzo in cui è Dracos a raccontare - quello in grigio per intenderci - non è un errore di battitura o distrazione l'alternarsi di tanto in tanto dal maschile al femminile. Ho pensato che essendosi comunque incarnato più volte dalla sua "disfatta", dargli un genere sarebbe abbastanza scorretto - so che in italiano il neutrale è maschile, ma penso che renda meglio l'idea messa così :c
    Per l'indovinello invece: non l'ho scritto perché non avrei saputo come indicarlo nel post, comunque presumo di trovarmi in una qualche sfarzosa reggia di Elonia.
     
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    C O R R U P T I O ~ Il Prescelto
    T E R Z O N E C R O L O G I O

    Passi mentre tu dormi, brevi e nervosi, di chi sta constatando qualcosa di inaspettato. Dopo pochi minuti quel suono ritorna, accompagnato da uno più cadenzato e, a tratti, regale.
    « Mein Lord, mi rincresce informarla che la signorina si è svegliata recentemente. »
    Qualche secondo di stasi, come se stesse pensando al peso di quelle parole, e poi la seconda figura si avvicina, abbastanza da poterti spostare i capelli dal viso e guardarti in faccia. Poi, una carezza (piena di un amore ispirato da una sete di potere che, forse, sarà presto saziata).
    « Alfred, non è (suono distante e confuso)... »
    Silenzio. Il contatto con la sua mano porta un flash nella tua mente: un enorme drago nero che fissa la tua altrettanto solenne e grandiosa figura, con occhi iniettati di fuoco ma, al contempo, di fraterno rispetto.
    Senti le coperte che avvolgono il tuo corpo dopo che lui le ha rimboccate, e come lui fa un gesto con le mani senti il letto muoversi.
    « Neri, Nera, Nero. Occupatevi di lei. »
    « Gewiss, Mein Lord. »
    « Gewiss, Mein Lord. »
    « Gewiss, Mein Lord. »
    Senti un bacio sulla fronte e, assieme ad esso, vedi rapidi scorci di vita susseguirsi l'uno dopo l'altro: il volare libero nei cieli, le lodi di alcuni mortali, poi le battaglie, le guerre, le distruzioni portate su coloro che hanno osato sfidarti, il connubio con questo drago nero e con altri draghi di cui ormai si sono perse le tracce e, infine, la sconfitta ed il sigillo. Talmente rapidi che alcuni non riesci neanche a percepirli.
    I passi se ne vanno, lasciandoti con molto, molto tempo per ricordare che cosa sei.

    - - - - -

    Sette notti, sette giorni.
    Riprendi vita come da un incubo, con la sensazione addosso di coloro che si addormentano per svegliarsi un attimo dopo. Le tende lasciano intravedere una splendida serata, un dono quasi di Astorot e Kaesir per il tuo risveglio. Le tre donne (tutte e tre vestite da maid) accorrono al tuo servizio per accertarsi delle tue condizioni (e dell'artefatto). Finita l'ispezione (che prevede ogni parte del tuo corpo; è inutile opporsi, sei ancora troppo debole), bisogna attendere gli ordini del Duca.
    « Bisogna annunciare a Lord Cravikov la lieta notizia. Nera. »
    La maid dai capelli blu (la più giovane delle tre) si inchina a te fino a mezzo busto. « Con permesso. » - poi, sparisce in una nuvola di fumo nero, come se non fosse mai stata lì.
    «Perdonatemi, mia signora, non ci siamo ancora presentate: io sono Neri, lei è mia sorella Nero.»
    « Piacere. » - entrambe si scomodano in un inchino uguale a quello della loro sorella appena volatilizzata.
    « Vi trovate nella magione della nobile casata Cravikov, in Phaldebar. Il nostro padrone ci ha posto al suo servizio affinché non mancasse nulla alla sua onorabile ospite. Prego faccia buon uso di noi. »
    Appena finita la frase, Nero serra gli occhi mentre capta la comunicazione da sua sorella Nera con gli ordini del padrone.
    « Lord Cravikov la attende per la cena. Prego, se vuole seguirci per la vestizione. »
    Nero vi precede, mentre Neri percorre il breve tratto che unisce le due stanze vicino a te, nel caso tu abbia mancamenti o giramenti di testa. Passate circa un quarto d'ora a scegliere il vestito adatto.
    Poi, scendete le scale per andare ad incontrare questo fantomatico ed oscuro aiutante.

    - - - - -

    I marmi delle ampie sale e dei lunghi corridoi che precedono l'enorme sala da pranzo mostrano con fierezza un lusso elegante, solenne ma mai esagerato; le luci dei faretti lasciano osservare gli affreschi che riempono le pareti ed i soffitti, mentre i riccamente decorati tappeti sembrano emanare calore (forse grazie al complesso sistema di tubature che rende la casa gradevolmente abitabile in qualsiasi stagione). Nero cammina davanti a te e Neri ma, ad un tratto, si ferma davanti ad un portone finemente decorato con particolari in oro (cosa strana, visto che fino ad ora le porte erano "mimetizzate" con le pareti, pienamente in linea con il gusto nobiliare eloniano che non gradisce elementi così intrusivi come una porta all'interno del campo visivo): prende un candelabro lì vicino e, dopo aver acceso una ad una le candele con un fiammifero, apre sicura la stanza, entrando dentro un oscurità densa e fitta.
    Una parete completamente riempita da finestre che partono dal soffitto ed arrivano fino al terreno, mentre l'altra riempita da quadri e da tre solenni camini accesi; sopra questi tre camini, tre immensi ritratti alti quattro volte un uomo medio e larghi due, ognuno riempito da una figura diversa: una graziosa donna dai capelli neri sopra quello all'estrema sinistra, un uomo austero e severo all'estrema destra ed uno molto più giovane, regalmente composto e con uno sguardo machiavellico (ti sembra inoltre che proprio questo ritratto sia leggermente più grande degli altri due).
    Davanti a quel camino, due poltrone. Una vuota, l'altra occupata da un misterioso figuro che, appoggiando il gomito sul bracciolo, tiene in mano un bicchiere riempito con del vino rosso. Nero appoggia il candelabro sul tavolo già imbandito che occupa il centro della stanza (lungo circa cinque metri), per poi passare alle presentazioni. L'uomo sorseggia brevemente dal bicchiere, per poi appoggiarlo sul tavolino posizionato tra le due poltroncine; infine, si alza.

    « Miss Nexus, ho l'onore di presentarvi Lord Aleksander Valerian Von Rosenbaum della nobile casata Cravikov, Duca di Elonia. »
    Il volto dell'uomo rimane nella penombra generata dal fuoco alle sue spalle, per mostrarsi soltanto quando è proprio davanti a te: capelli corvini lunghi e fluenti, vestiti impeccabili e due occhi rossi iniettati di una strana soddisfazione per quell'incontro. Ti prende dolcemente la mano destra e la porta alla sua bocca (un soffice e galante bacio che porta con se anche una rapida immagine del drago nero).
    « Incantato, Mylady. Prego, se si vuole accomodare. »
    Noti solo dopo questo gesto che l'uomo nel ritratto al centro della stanza è lo stesso che adesso è in piedi davanti a te.
    Ti accompagna fino al tavolo, per poi spostare leggermente la sedia (comoda, con lo schienale e due bracciali imbottiti ed anch'essa finemente elaborata) per rispettare il codice degli onori che si debbono ad una signora; nel mentre, Neri e Nero riempono la tavola di candelabri per dare luminosità alla stanza. Una volta che ti sarai seduta e lui ti avrà aiutato nel farlo, percorrerà tutta la tavola per andare a sedersi dalla parte diametralmente opposta alla tua; viene aiutato a sedersi da un anziano maggiordomo che spunta alle sue spalle. Per quanto ci siano i candelabri, riuscite a guardarvi in faccia estremamente bene.
    « Alfred, direi che possiamo iniziare con le carni e con uno Chant du Diable del '37: credo che la nostra ospite abbia appetito. Per il resto, lasciateci. »
    Alfred si scomoda in un inchino appena accennato (ormai l'età non gli permette movimenti troppo solenni), e nel farlo viene imitato da Neri, Nera e Nero; dopo il loro inchino, svaniscono in una nuvola di fumo nero, andando ad accorparsi all'oscurità che ancora alberga negli angoli della stanza (preferibilmente dalla parte del Duca, non dalla tua). Con la loro sparizione, senti delle ammiccanti risatine femminili che riempono la stanza.
    Rimanete soli, tu e lui. Ti scruta attentamente per qualche secondo, per poi prendere la parola; accavalla le gambe e tiene il busto ben dritto, gesti e comportamenti che solo la dura educazione nobiliare possono rendere naturali in un uomo.
    « E' un onore averla qui, Miss Nexus. Spero che abbia trovate le mie sale e le mie governanti accoglienti e piacevoli durante il suo soggiorno. Sa, alcuni nostri amici in comune si sono raccomandati di trattarla con la massima cura -non che non le avrei riservato un trattamento così sin dall'inizio, è chiaro-. »
    Il portone alle spalle del Lord si apre, lasciando entrare l'anziano capo maggiordomo con una bottiglia di pregiato vino: lo versa prima a Jillian e poi al proprio signore, tenendo la bottiglia dalla base soltanto con l'indice, il pollice ed il medio, facendo attenzione che il vino respiri nell'atto grazie a piccoli movimenti circolari che lui stesso da' al liquido. Un altro breve inchino, per poi scomparire nelle cucine, dal quale fuoriesce l'attimo successivo accompagnato da una ventina di domestici: in dieci secondi riescono a riempire entrambe le parti dei commensali -davanti a te un trionfo di carne di ogni tipo esistente-. Alfred si congeda ancora una volta, mettendo stavolta il medio e l'indice della mano sinistra sul cuore e scomponendosi nello stesso inchino.
    « Mein Lord, Mylady, bon appétit. »
    Torna nelle altre stanze accompagnato dagli altri valletti; ne rimane solo uno, nella penombra del muro alle spalle del Duca ed attaccato ad esso, con in mano il vino e pronto per riempire il bicchiere di entrambi.
    Il Duca inizia a guardare la propria parte della tavola, scegliendo con attenzione e con una calma quasi innaturale le parti che davvero stuzzicano il suo palato ben abituato.
    « Immagino che sarete scossa e confusa dopo tutti gli avvenimenti che vi hanno vista protagonista: dei, draghi, strani artefatti, signorotti di Elonia... Tutto troppo in grande per una ragazza affiliata a Flaemnir.
    Sono qui per rispondere a qualsiasi vostro dubbio. Prego, chiedetemi pure.
    »


    CITAZIONE
    piccole note per il post: - i flash sono a tua discrezione: se vuoi usarli per fare qualche flashback, prego, hai carta bianca.
    - i vestiti che indossi sono a tua discrezione (conta che sei stata vestita dalle domestiche di un signore estremamente legato all'etichetta ed al bel vestito della nobiltà, quindi eviterei chiodo, giacche di pelle o anfibi e punterei su di un qualcosa di più... femminile. Hai piena libertà di come ruolare la scena.)
    - Mylady è il Milady tedesco (no niente, lo dico a titolo informativo per non fare la figura dell'ignorante)
    - il duca ha una passiva psionica di "attrazione" verso il genere femminile: jill lo vede estremamente affabile e regale, una persona di cui fidarsi. Ruola anche questo come ti pare e come ciò contrasta la tua passiva.
    sai dove sono per altri dubbi.
     
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    Stato di dormiveglia durante il quale tentavo di combattere contro il desiderio di quell’antica creatura di prendere il sopravvento sulla mia anima. Accucciata in posizione fetale su quelle morbide coltri, vedevo scaglie argentee riflettere nell’oscurità, mentre gli artigli tentavano di aprire uno squarcio. Era estremamente doloroso, e non vi era neanche un modo per poter lenire le fitte che mi provocava. Voleva vincere a tutti i costi quella battaglia, doveva essere nuovamente lui ad avere il controllo.

    In lontananza percepimmo i passi di un intruso, demmo poca importanza a quell’informazione, troppo impegnati in una battaglia che si svolgeva su un altro piano.
    Un tocco, gentile, amorevole che acquietò per dei lunghissimi istanti i nostri animi, mentre la mia e la sua coscienza si proiettarono verso la fonte di quella carezza. Le palpebre, stanche, riuscirono ad aprire solo un minuscolo spiraglio, che ben poco lasciò intendere se non la presenza di una figura che ci sovrastava.
    Un’immagine mentale rapida, ma abbastanza nitida da farci comprendere quanto osservavamo: la figura di un drago dagli occhi fiammeggianti ricolmi di rispetto e sentimento fraterno, un sentimento che in una certa misura condividevamo anche noi… che condivideva Dracos.
    Dovevo ricordarmi che eravamo due creature perfettamente distinte, costrette semplicemente a condividere uno stesso corpo, eppure in quel momento vi era una sintonia che era mancata ad entrambi da quando dimostravo almeno diciott’anni.
    Altre voci, femminili questa volta, le quali vennero beatamente ignorate da noi, troppo concentrate su quel tocco, su quelle immagini che riportarono alla luce sentimenti nostalgici di un fiero passato che sembrava non essere più parte della nostra vita.
    Labbra che dolcemente sfioravano la nostra fronte, in un gesto che ricordava quello che abitualmente veniva compiuto da una donna dal nobile portamento.
    Altre immagini, innumerevoli, alcune difficili da afferrare, altre semplicemente tornarono a far parte della nostra consapevolezza senza neanche che riuscissimo a renderci conto di cosa si trattasse. La magnifica vita che secoli orsono Dracos aveva vissuto, ottenendo il rispetto e il timore riverenziale di molte creature vallhaliane, senza arrivare alla fama degli dei, ma divenendo abbastanza importante da avere dei gruppi di seguaci. Incontrastati sorvolavamo i cieli, senza che nessuno potesse nulla contro di noi.
    Vita e morte erano nelle nostre mani, così come la possibilità di distruggere era data anche solo dal nostro semplice capriccio.

    Mi raggomitolai ancora di più, cercando in tutti i modi di ricordarmi che io e Dracos eravamo due entità ben distinte, che i ricordi che vedevo affiorare non erano miei ma appartenevano a una vita di cui non avevo nulla a che fare, che non mi apparteneva; eppure sembrava esserci un filo, un canale invisibile che ci teneva legati, più di quanto non saremmo dovuti essere, che permetteva l’uno di avere ascendente sull’altro di un grado maggiore rispetto a casi analoghi. Eravamo due creature, due anime, ma al tempo stesso eravamo una sola.
    Guardai la sua anima, comprendendo quanto fosse difficile ricordare, sapere di cosa si era stati in grado di compiere, e ora essere intrappolati in un involucro di carne che inibiva gran parte delle proprie capacità. Un raro slancio di empatia, forse dettato più dal legame che ci univa che dal vero sentimento umano di comprensione. Molti sarebbero convinti che quello che stavo per stipulare fosse il peggior patto esistito, ma ero totalmente consapevole che collaborare, condividere, avrebbe potuto giovare a entrambi; se ve n’erano, in pochi avrebbero potuto condividere una così profonda conoscenza l’uno dell’altra. Avevamo vissuto per questi tre secoli in una compagnia forzata, forzati da chi era convinto di poter manipolare le anime altrui come gli Dei. Ora avevo avuto modo di ricordare la sua vita prima che io nascessi, prima che nascesse mia madre e forse anche i miei nonni. Se prima avevo solo tre secoli, ora mi trovavo con una mente che doveva elaborarne ulteriori, assorbirli e immagazzinarli. Il tempo d’innumerevoli vite, racchiuso in immagini rapide che mi schizzavano nella mente.

    Ancora una volta il risveglio fu brusco: l’ultima immagine che vidi nei miei sogni-ricordi fu il sigillo che venne apposto a Dracos; i sentimenti che provò in quel momento il mio mentore furono tanto intensi da rendere inevitabile la sensazione di aver vissuto, ancora una volta, un orribile incubo. Questa volta, almeno, non sentivo più artigli draconiani lacerarmi la psiche, ma un più caldo senso di fratellanza. Gli occhi spalancati erano puntati su una finestra da cui filtrava la soffice luce della luna. Ricordavo quella stanza, era dove mi ero svegliata la prima volta. Mi voltai, cercando il prezioso manufatto che ci avrebbe resi completi, e forse anche più potenti di un tempo; era ancora lì, accanto che vibrava mostrando quanto il desiderio di ricongiungersi al suo legittimo proprietario fosse forte.
    Venni distratta dallo squittire di femmine felici che, con composto entusiasmo, vennero ad accogliermi. Le guardai, diffidente e ostile, costatando i ridicoli abiti che indossavano – ma che Shaa avrebbe senza dubbio apprezzato – mentre si avvicinavano pretendendo di accertarsi sia del mio stato, che di quello del manufatto. Non ebbi modo di oppormi se non agitandomi debolmente fra le loro mani. Nel mentre una di loro era scomparsa per “annunciare la lieta notizia” – non sapevo se prenderla come un qualcosa di estremamente inquietante o altro – e venni anche informata di dove stessi alloggiando – anche se oltre a comprendere il continente in cui mi trovavo non riuscivo a collocare la “Dimora” nei pressi di nessuna città conosciuta. Accertatosi che fossi totalmente intatta e che la mia psiche era, dopotutto, sana, mi accompagnarono nei bagni, dandomi così modo di rinfrescarmi. Il momento in cui m’immersi nell’acqua fu, probabilmente, il momento migliore dal mio risveglio.

    Coperta da una semplice vestaglia, venni accompagnata in un’altra stanza per la “vestizione”, ancora una volta mi trovai a dover assecondare le istruzioni impartitomi dalle due domestiche in maniera quasi passiva – sette giorni e sette notti di sonno hanno pessimi effetti sul corpo e sulla fermezza mentale, probabilmente apparivo tutto fuorché minacciosa – il senso di disagio non faceva che crescere; ero vulnerabile, debole e con lo stomaco totalmente vuoto in un posto che non conoscevo, privata delle mie armi e della possibilità di usare ottimamente le mie capacità. Ero nuda metaforicamente e concretamente parlando, indifesa e ancora spaesata. Non riuscivo a capire cosa volessero da me, l’unica ipotesi, appoggiata anche da Dracos stesso, era che il tutto fosse collegato al Drago Nero che avevo visto nei ricordi, l’antico alleato del mio mentore.
    Quindici minuti, quindici fottutissimi minuti per scegliere un vestito che non mi facesse sembrare un fottuto muffin nero o che non mi costringesse a camminare con un palo nel culo. L’abito su cui cadde la scelta era in seta nera che ricadeva morbidamente sul corpo, aderendo su fianchi e glutei, per poi allargarsi in una gonna leggera. La schiena veniva lasciata totalmente nuda, e i bordi dell’abito in quella zona erano adornati con quelli che potevo definire solo come gioielli. Intorno alla clavicola vi erano delle catene in metallo nero, le quali si ricongiungevano a una sorta di collarino fatto nel medesimo materiale. Senza dubbio il suo punto di forza poteva essere lo spacco che arrivava fino alla metà della coscia, facendomi sentire meno “costretta” in quel genere di vestito, la cui utilità poteva essere solo data dallo sfarzo gratuito. Finito con quel processo, mi vennero anche acconciati i capelli – non fosse mai che mi presentassi al rispettabile Duca con qualche dettaglio fuori posto! – in maniera tale che da un lato fossero tenuti ben legati, mentre dall’altro mi ricadessero morbidamente sulla spalla. Una piccola vittoria, ero riuscita a non farmi creare cose astruse e pesanti, di contro, mi toccò indossare scarpe con tacco.

    Vestita come non lo ero da secoli, venni accompagnata lungo una scalinata sontuosa, così come lo era ogni minimo dettaglio di quel luogo. I marmi la facevano da padrone sulla pavimentazione, coperti appena da dei tappeti – probabilmente per ottenerne di così pregiati avevano dovuto schiavizzare metà della popolazione infantile di Phaldebar – e i soffitti erano coperti da affreschi, e a malapena si potevano scorgere le linee che segnavano la presenza di porte; l’unica che non celava la sua presenza, ma anzi la urlava a gran voce per la sua pesantezza nelle rifiniture, era quella dinanzi alla quale Nero si fermò, prendendo un candelabro.
    L’oscurità riempiva ogni angolo di quel luogo, divenendo quasi tangibile per quanto la sentissi “pesante”, l’unica fonte di luce era rappresentata dalle candele accese dalla governante. Era un’atmosfera insolita, considerando la presenza delle finestre che riempivano una parete tanto da non mostrare neanche un pezzo del muro; l’altro era invece ricoperto da quadri – raffiguranti forse i proprietari di quella magione – e tre maestosi camini. Non era la prima volta che entravo in una reggia imponente, ma quella aveva un qualcosa che influiva sulla mia psiche, quasi assoggettandomi. C’era qualcosa di strano, qualcosa che non riuscivo ad afferrare, che premeva contro la mia mente, ma che quando tentavo di afferrarlo, di guardarlo mi sfuggiva. Era frustrante, snervante. A migliorare il tutto vi erano quegli inutili preamboli, tipici di chi viveva in e per la nobiltà. Tutto sarebbe potuto essere più veloce se solo l’interessato si fosse presentato nella stanza a parlarmi, o anche semplicemente mi avesse fatto scendere subito dopo essermi svegliata.

    Una figura si stagliava nell’ombra, seduta su una delle poltrone poste dinanzi al camino centrale, essa venne presentata come Aleksander – e altri nomi di cui poco m’importava – Duca di Elonia. Ecco, fu questo l’elemento su cui mi soffermai brevemente, prima che il volto fino a quel momento oscurato, non rilevasse le sue vere fattezze. Occhi rossi, soddisfatti di quanto vedevano, volto che gli aveva permesso di far cadere numerose donne ai suoi piedi, capelli lunghi e neri come l’oscurità che lo circondava.
    Mi attraeva, dannazione se mi attraeva.
    Nel momento in cui il Duca eseguì il baciamano costatai che il ritratto leggermente più grande degli altri ritraeva proprio lui. Tutto quadrava, considerando che sembrava non esserci traccia degli altri due soggetti.
    Venni fatta accomodare al capo del tavolo dove si sarebbe consumato successivamente il pasto. Seguii con attenzione i diversi personaggi che si muovevano in quella sala così silenziosa e oscura, continuando a chiedermi il perché di così tante cerimonie.
    Dracos mi sfiorò appena la mente, con un tono che era un misto fra il preoccupato e il sospettoso:
    « C’è qualcosa di strano, non lo senti? »
    Mentalmente annuii, ricordandomi della lieve pressione che continuavo a percepire a livello psionico, come se vi fosse qualcosa che cercasse di circondare la mia coscienza e influenzarla. Lo sapevo, lo sentivo, forse potevo intuire da cosa dipendesse, ma con ogni probabilità la forza di quella malia era forte.
    Dopo che il vino venne servito e la tavola imbandita, prima ancora di iniziare servirmi, nonostante l’appetito stesse iniziando a essere più pressante, concentrai l’attenzione sull’uomo che avevo dinanzi e alle ultime parole che aveva pronunciato. Nonostante il fascino che riusciva a esercitare persino su di me, le immagini di quanto mi era stato rivelato negli ultimi giorni erano ancora vivide nella mia mente. Molte cose ancora mi sfuggivano in quanto si parlava di una vita che perdurava da secoli, piena di avvenimenti e di eventi di cui non ero in grado di comprenderne appieno il significato e l’importanza.
    « Per prima cosa mi piacerebbe capire cosa sia la pressione che sento continuamente nella mia mente. »
    Non ero, anzi, non riuscivo a essere sospettosa ma, sentire continuamente quella sensazione, in maniera costante, aveva acceso in me la curiosità di comprendere cosa ci fosse che non andava. Mentre parlavo, iniziavo a servirmi un po’ di carne di cervo nel piatto. Sì, sette giorni e sette notti senza cibo stavano rendendo il mio stomaco una sorta di buco nero che cercava di mangiare sé stesso.
    « E… che legame hai con gli esseri che mi hanno mentalmente stuprata? Insomma… »
    Lasciai in sospeso la frase, mentre imboccavo un pezzo della carne che avevo appena tagliato, gustandone il sapore come se fosse la prima volta che mangiassi cibo tanto prelibato. Il mio stomaco stava per essere finalmente soddisfatto. Sorseggiai un po’ del vino che mi era stato versato, alzai lo sguardo, per poterlo guardare nuovamente mentre riprendevo a parlare.
    « …potrei capire se fossi il Capo di Elonia, ma allo stato attuale mi sembra di aver intuito che in mezzo a tutti quei titoli non fosse menzionato “Sovrano”, correggimi se sbaglio. »
    Un’altra pausa, mangiavo per placare la fame, ma, vi sembrerà incredibile, riuscivo a mantenere un contegno che chiunque mi conosceva non sarebbe mai riuscito ad attribuirmi a causa del mio modo di fare tipicamente rude. Shaa sarebbe stata felice, molto – anche se mi avrebbe bacchettato per essermi rivolta dando del tu anziché del voi – probabilmente si sarebbe congratulata con questo Signorotto per quanto era riuscito a compiere.
    « Comunque, penso che definirmi semplicemente come “ragazza di Flaemnir” sia sminuente nei miei confronti. »
    Mentre pronunciavo quelle parole sorridevo maliziosa, tenendo gli occhi puntati sull’uomo che avevo davanti anche mentre bevevo quell’ottimo vino.
    Ho mai detto che sono una persona sicura di sé e delle proprie capacità?

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    Niente da aggiungere se non l'immagine esplicativa del vestito qui.
     
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    C O R R U P T I O ~ Il Prescelto
    Q U A R T O N E C R O L O G I O

    L'uomo mangia compostamente la propria carne, pulendosi con un fazzoletto di seta bianco, appena portato alla bocca con solo le prime tre dita di una mano. Mentre tu parli non ti guarda, pensieroso e assorto nelle sfumature del liquido rosso che ha fatto invecchiare nelle proprie cantine apposta per un'occasione speciale come quella; eppure, non perde una parola delle tue brevi ma taglienti frasi, cogliendo un'ironia ed una sicurezza che aveva preventivato ma che mai si sarebbe aspettato così prepotentemente presente. Sorride, pensando tra sé e sé se quella inestinguibile fiamma d'orgoglio fosse mantenuta viva dalla personalità della draconiana o da ciò che dentro di lei risiedeva, assopito; dopo aver preso un sorso del proprio vino, alza leggermente la mano in un gesto a metà tra l'annoiato ed il composto, segno che il valletto non si lascia sfuggire e, in meno di tre secondi, è lì a riempire il calice del suo signore.
    « Porta qui l'oggeto. » - il servo si scompone in un inchino (l'ennesimo in quella serata) e, dopo aver lasciato la bottiglia davanti al suo signore, si dilegua dietro alla porta, lasciandovi solo ad osservarvi a vicenda. Il signorotto passa qualche secondo ad osservarti con le mani davanti alle labbra, le dita intrecciate. Ammira la tua bellezza, ma sta anche valutando come prendere Jillian tra le sue mani: come convincerla, come adularla, su che tasti spingere e su che cosa, invece, evitare di puntare; vedi i suoi occhi rossi illuminarsi per un attimo e senti la pressione dalla tua mente svanire, come se non ci fosse mai stata.
    Sorride.
    « Sono state settimane faticose, mi perdoni se si è sentita sminuita dalle mie parole. E' vero, non sono nient'altro che un nobilotto con tanti nomi, un noioso titolo ed un vasto maniero in cui invecchiare in solitudine; oh certo, il mio retaggio e le mie fortune possono essere la coronazione di una vita per i più, ma agli occhi di un dio nessuna di queste cose conta molto. »
    Beve ancora vino, finendo il calice tutto d'un sorso. Nel frattempo, arriva il valletto assieme all'artefatto, portato sopra di un vassoio d'argento tenuto con una mano sola. Lo poggia a fianco del suo signore nell'ultimo spazio occupabile in quel trionfo di cibi e prelibatezze. Un altro inchino, e si allontana, chiudendo un'altra volta la porta alle sue spalle.
    L'uomo dai capelli neri ti guarda, per poi parlare; il suo viso è colorato da un sorriso storto, divertito.
    « Vede, Miss Nexus, gli dei sono più umani di quanto pensiamo: provano desideri, hanno ambizioni e provano odio, così come provano amore; e come ogni umano, quando vogliono qualcosa non scelgono come proprio campione colui che ha più nomignoli, bensì quello che può assicurare il miglior risultato. »
    Lui è impassibile, immobile, ma senti che qualcosa nella stanza è bruscamente cambiato: l'aria sempre più pesante, più tetra e fitta, come se schiacciata da un'entità che sfiora la trascendenza; i piatti e le vettovaglie vibrano, scossi da questa presenza, così come i vetri e, persino, le fiamme. Persino l'artefatto aberra quella nuova situazione.
    Sei come indebolita, risucchiata in un vortice, inerme e nuda, un pidocchio davanti ad un Titano: ti accasci sul tavolo, lottando però per rimanere dritta e non essere piegata da quell'aura mostruosa, ma presto capisci che qualunque tuo sforzo è vano.
    Alzi lo sguardo e vedi il Duca riempito di uno sguardo particolarmente acceso, gli occhi fissi su di te e severi, ridotti ad una pupilla inumana; alle sue spalle, l'ombra che nasce dalla poltrona su cui è seduto si trasforma lentamente in una figura sempre più imponente e mostruosa, fino a prendere le sembianze di un potente drago che ti guarda beffardo, con gli stessi occhi rossi. La situazione dura qualche secondo, per poi cessare improvvisamente.
    I fuochi si calmano, i cibi si fermano, i tavoli e le poltrone non vibrano più e tutto è tornato ad una calma quasi irreale, sospesa sopra un abisso rappresentato dalla potenza di quell'uomo che, magnanimamente, tiene soppressa all'interno del suo Spirito.
    Qualche secondo di stasi e di sguardi, poi il signorotto si versa dell'altro vino e, raccogliendo il suo calice, si alza, camminando verso di te con una camminata sicura e solenne.
    « Mi spiace essere dovuto ricorrere a questo; e avete ragione, definirvi come una "ragazza affiliata a Flaemnir" è stato tremendamente riduttivo. Permettetemi dunque di spiegarvi come posso farmi perdonare per questi due immensi torti arrecativi. »
    Arriva da te e l'occhio gli cade sul tuo calice, rovesciatosi durante la sua dimostrazione di forza. In men che non si dica, dall'oscurità sotto al tavoli nascono piccole escrescenze ombrose che raddrizzano il tuo bicchiere e portano la bottiglia di pregiato vino al suo signore, rimasta all'altro capo del tavolo. Lo fa versare senza toccare il vetro proveniente dalle sue cantine, troppo occupato a presentare l'offerta alla miglior compratrice che c'è in circolazione.
    « Potere, Miss Nexus, talmente tanto da far impallidire qualsiasi insegnamento impartitole fino ad ora da mentori e maestri. Nessuno tra gli abitanti del Valhalla può aiutarvi a domare l'essere che riposa dentro di voi, nemmeno tra i vertici delle quattro fazioni. »
    Intanto passeggia attorno a te ed alla tua poltrona, il proprio calice sempre in mano. Il vino è, intanto, finito: l'ultima goccia cade nel tuo bicchiere, riempito con la speranza di un brindisi.
    « Anche se doveste mettervi nelle mani di coloro che un tempo credevate vostri alleati, finireste ben presto al centro delle discussioni di potenti e paurosi, uomini e donne di cui vi fidavate ma che osservandovi non vedrebbero altro che una minaccia o un'arma. »
    E' proprio alle tue spalle mentre dice queste parole; fa qualche passo verso le vetrate, fermandosi ad osservare la lune e le stelle mentre finisce la prima parte del suo discorso.
    « Io invece in voi vedo una bellissima donna, una musa che promette al Valhalla un futuro molto più radioso di quello in cui è attualmente immerso; e poi mi spezzerebbe il cuore sapere di un'anima così affine perdersi nelle braccia di avidi ed ambiziosi signori della guerra. »
    Sorseggia il suo vino, per poi affondare nell'oscurità e riapparire vicino alla tua sinistra, mentre passeggia in direzione del suo posto.
    « Potenziale, Miss Nexus, potenziale che per essere espresso necessita di sacrifici e decisioni: tradire i propri compagni, tagliare i ponti con il proprio passato ed abbracciare l'idea di essere riconosciuta come nemica da coloro che si ha protetto e da cui si è stati protetti. »
    Un rapido gesto con il braccio ed un'altra protuberanza oscura raccoglie l'artefatto, portandolo dalla tua parte ed appoggiandolo vicina a te; serpeggia poi sotto il tavolo, mentre il Duca è girato verso di te per terminare il suo intervento.
    « Per quanto strana possa sembrare un'offerta così disinteressata, sappia che i miei insegnamenti hanno un prezzo imposto dal mio signore, il quale sarà rivelato a tempo debito. »
    Scompare nuovamente nell'oscurità lì vicina, per riapparire ad un metro da te ed alla tua destra, seduto su di una poltroncina diversa da tutte le altre nella stanza e creata da lui stesso attraverso il controllo della sua materia. Ti guarda con le gambe accavallate e la sua solita posa regale, il calice tenuto con poche dita della mano destra e teso verso di te. Un brindisi, si spera.
    « Abbiamo dunque un accordo... Jillian? »


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    L’uomo che mi sedeva davanti, all’altro capo del tavolo, mostrava a malapena interesse per le parole che pronunciavo, assorto più dal cibo e dalle sfumature scarlatte del vino che da quanto veniva detto; ciò non mi fece comunque desistere, sicura che in realtà ascoltava, probabilmente cogliendo anche la più piccola sfumatura della mia voce. La natura di tale certezza era semplice da identificare: da quel poco che avevo avuto modo di osservare, Aleksander non era il tipo da lasciare nulla al caso, e per essere uno stratega efficiente era necessario che venisse colto anche il più piccolo dettaglio della situazione.
    Ci furono degli istanti di silenzio, rotti solo dal rumore del coltello che di tanto in tanto grattava appena il piatto, mentre ero intenta a tagliare un’altra piccola porzione della carne. La fame veniva lentamente messa a tacere, così come la mia sete, e al contempo il mio senso del gusto poteva deliziarsi di prelibatezze che non degustavo da moltissimo tempo.
    Nel frattempo sentivo Dracos essere compiaciuto, come se non si aspettasse una tale capacità di diplomazia mista a me.
    «Suvvia, so essere una ragazza a modo quando serve.»
    Dentro di me sorrisi, percependo un’espressione ironica da parte del mio mentore; non era qualcosa che si possa descrivere, si trattava più di una sensazione, sapevo che era ciò che stava avvenendo pur non potendolo vedere.
    «Non ho detto nulla.»
    Se lo avessi avuto davanti, avrei visto un enorme bestione scaglioso scrollare scapole e parte della groppa in un gesto di noncuranza, ma era la tonalità con cui aveva pronunciato quelle quattro parole che mi fecero capire che mi stesse prendendo in giro.
    In quei frangenti di tempo osservavo quanto stava facendo il Duca, dando ben poca attenzione al gesto rivolto a un ragazzo della servitù. Un altro sorso di vino, e il mio sguardo venne attratto da quello cremisi dell’uomo, il quale mi osservava con fare analitico, ma al tempo stesso sembrava compiaciuto da ciò che vedeva.

    Un sfuggevole istante, una luminosità che riuscii a malapena a registrare, ma che ero certa di aver visto, e la pressione che percepivo si dissolse come il metallo nelle mie mani. Ora ero finalmente in grado di comprendere cosa fosse successo fino a quel momento: l’innaturale attrazione e senso di fiducia che provavo nei suoi confronti – perché solamente innaturale poteva essere – era scomparsa, lasciando spazio alla più confortante diffidenza che scaturiva alla vista di qualunque essere volesse approcciarsi. Non era mai nulla di personale, semplicemente sapevo che la natura dei senzienti era quella di manipolare gli altri per poter raggiungere i propri obiettivi, nobili o discutibili che fossero.
    Quando tornò in scena Élan mi morsi appena il labbro trattenendo un gesto di stizza più eloquente, dandomi mentalmente della stupida per aver lasciato un oggetto tanto importante in custodia di persone sconosciute. Altro silenzio, almeno fino a quando il valletto non ci lasciò nuovamente soli. Sorrise di sbieco, divertito, non potevo sapere se da quanto da me affermato o dalla situazione di per sé, mi limitai semplicemente a sostenere lo sguardo, in attesa di sentire quanto avrebbe aggiunto di lì a pochi istanti.
    Parlava, e mentre parlava mi rendevo conto che qualcosa intorno a me stava cambiando, il desiderio di guardarmi intorno era forte, ma non avevo intenzione di lasciarmi andare all’impulso, imponendomi di continuare a tenere lo sguardo fisso sul nobile dinanzi a me. Mi rispose a tono, e soprattutto fu eloquente quando lasciò andare quella che doveva essere la forza racchiusa in lui. L’aria era divenuta pesante e come un macigno gravò sulle mie spalle; mi accasciai sul tavolo, combattendo per riuscire a tornare ritta e composta sulla sedia, aggrappando le mani al bordo del tavolo nel vano tentativo di tirare su il busto. Il mio volto era ora una maschera inespressiva, mentre cercavo di tenere lo sguardo, ora vacuo, puntato sugli occhi cremisi dell’uomo. Ero tornata a essere fisicamente debole, ma nonostante la pressione che continuavo a sentire, questa volta la mia mente era ancora in grado di lavorare, in più avevo il sostegno di Dracos, il quale, dal canto suo, era divertito e, paradossalmente, contrariato da quella manifestazione di potere. Il duca mi stava fissando, uno sguardo severo, con pupille appena visibili in quel mare rosso, lasciando intendere che la sola cosa di umano che doveva avere era il suo aspetto; dietro di lui s’innalzò nell’oscurità la figura di un drago nero, non dissimile da quella che avevo visto nei miei sogni. Un ringhio stava per nascere, stroncato ancor prima di riuscire a uscire dalla mia gola, dall’energia di Dracos: era un ammonimento, un invito a non esagerare, il quale venne da me accolto a malincuore. I patti erano che l’uno avrebbe sostenuto l’altra quando ce ne sarebbe stato bisogno, che mi avrebbe tenuto a bada quando iniziavo a lasciare andare la parte più orgogliosa di me. Era difficile in quel momento non essere aggressiva, con quel fottuto drago che mi guardava beffardo, occhi che erano lo specchio di quelli di Aleksander da cui aveva origine; sembrava rappresentare un’altra parte di sé, la faccia di una stessa medaglia.
    «Non siamo ancora abbastanza forti… e impara ad ascoltare prima di sparare; non è uno di quei scontri a cui sei abituata.»
    Dopo Shaa era probabilmente la seconda… persona? a cui davo ascolto. Ciò lo doveva al rispetto che nutrivo per lui, per ciò che era e che rappresentava; ero stata catapultata in un gioco di cui conoscevo a malapena le regole, antico come il mondo stesso e l’unica guida che al momento avevo con me era la voce che mi aveva accompagnata dal giorno della morte di Shaa. Avrei potuto semplicemente far finta di non sentirlo, e lasciare che la mia arroganza avesse la meglio sulla ragione, ma sarebbe stato stupido e infantile. Rimasi così semplicemente in attesa e tutto improvvisamente cessò: il tavolo, il fuoco e ogni oggetto presente in quella stanza smisero di vibrare, e io fui libera di tornare a stare comodamente seduta.
    Portai le mani a poggiarsi sulle gambe, stringendole in un pugno mentre controllavo l’irritazione che cresceva dentro di me. Avevo capito l’antifona di quel gesto: aveva appena dimostrato di essere quello che pisciava più lontano fra i due. La cosa mi piaceva?
    No, anche se dovevo riconoscere che, ad averne le possibilità, avrei anche io fatto una dimostrazione di potere analoga. Sicuramente condividevamo qualcosa: nel momento in cui c’era bisogno di dimostrare qualcosa per poter rimettere al suo posto il nostro interlocutore, non ci tiravamo indietro.
    Lo guardai, ispirai appena più profondamente del solito, e quando espirai sorrisi a mia volta: le mani si rilassarono, portate ora poco più in basso del mio volto, applaudendo in maniera ironica a quanto da lui appena fatto.

    Con il bicchiere di vino si alzò, iniziando a camminare con un passo che solo coloro che avevano esercitato il potere per anni in ricchi salotti potevano acquisire.
    Eravamo vicini quando delle scarne escrescenze oscure fuoriuscirono da sotto il tavolo, innalzando il calice rovesciato, e iniziando a versare il vino. Osservavo quel processo, non dandogli veramente attenzione, troppo concentrata ad ascoltare proposte e lusinghe del mio interlocutore. Non mi era mai saltato in mente di “domare” Dracos, consapevole che non ne sarei stata in grado, e al tempo stesso, non desiderosa di avere la meglio su di lui, quanto essere semplicemente dei compagni, magari riuscendo un giorno a uguagliarlo in quanto a potere. Costatai però la sua straordinaria capacità di toccare i tasti corretti per far sì che assentissi alle sue richieste: lusinghiere, piene di promesse di potere e di trionfo.
    Ero consapevole che se fossi tornata a Flaemnir e coloro che mi comandavano avessero scoperto cosa custodivo dentro di me, avrebbero iniziato a guardarmi con ulteriore sospetto, non per il semplice fatto che il mio corpo custodiva anche da Dracos, ma perché era fin troppo famoso il mio carattere opportunista. Sarebbe stato come avere una serpe nella loro stessa tana, pronta ad azzannarti non appena si sarebbe stufata della loro compagnia. Di veri alleati ne avevo ben pochi, di cui una era a tutti gli effetti una mia allieva, cresciuta discretamente sotto i miei insegnamenti e quelli della capo fazione… ma non sentivo di condividere alcun vero legame con nessuno. Le mie emozioni erano complesse, non esisteva un vero e proprio “voler bene”, a volte non sapevo neanche io cosa provavo per chi mi era più vicino.

    Il vino ora riempiva il calice davanti a me, mentre l’uomo, seduto su una poltrona di oscurità, attendeva una mia risposta. A mia volta mi alzai, sfiorando dolcemente l’artefatto che era mi stato posto accanto; al tocco sentii una lieve scossa percorrermi il braccio, riscendendo poi lungo la schiena. Era l’intesa fra due creature affini, due creature che dovevano essere unite, ma che qualcuno di più in alto aveva deciso di separare.
    Ci saremmo fidati ancora di Fehor? No. Aveva tradito già una volta, ed era sicuro che lo avrebbe nuovamente fatto, ma al tempo stesso ci dava l’opportunità di acquisire il potere che tanto ci era mancato, che agognavamo. Non era necessario doverlo esercitare, ma la consapevolezza di averlo era sufficiente ad appagarci.
    «Sei un adulatore… si vede che sei cresciuto in mezzo alla nobiltà. La guerra fra aristocratici si svolge in primo luogo nei salotti, e le parole sono le vostre armi migliori.»
    Feci scivolare i polpastrelli, cercando di carpire ogni piccolo, minuscolo incavo di quell’oggetto, mentre scaricavo il peso su una gamba; davo la schiena all’uomo dell’oscurità, conscia che fintantoché saremmo stati in trattativa di potermelo concedere.
    «Però… “una musa che promette al Valhalla un futuro molto più radioso di quello in cui è attualmente immerso”, seriamente?»
    Dopo aver preso il calice in mano mi voltai, poggiandomi al tavolo e incrociando le gambe sfruttando lo spacco che mi dava libertà di movimento; agitai appena il vino, assaporando l’aroma che ne scaturiva lasciando che la perplessità si disegnasse sul mio volto.
    «Chiunque mi conosca dovrebbe sapere che è inutile far leva sulle mie emozioni e sullo spirito altruistico. Fai meglio i compiti la prossima volta. Ma! Devo ammettere che su un paio di cose senza dubbio sei riuscito a comprendermi.»
    Questa volta fui io ad avvinarmi: passo tranquillo, cadenzato e leggermente ondeggiante a causa dei tacchi, i quali risuonavano sul freddo marmo, unico suono in quel momento a parte il crepitio delle fiamme nel camino. Quando mi trovai di fronte a lui, seduto sulla sua poltrona di oscurità poggiai la mano libera sul bordo dello schienale così da avere un sostegno più sicuro, e al tempo stesso evitare di avere un contatto diretto con l’interessato; l’idea non mi dava fastidio, semplicemente non era quello il momento. Con la mano che sorreggeva il calice tenuta alzata, avvicinai il volto all’orecchio del Duca.
    «Provate a fottermi nella maniera sbagliata… e troverò il modo per farvela pagare.»
    Una tonalità ambigua, che lasciava intendere sia cose piacevoli che spiacevoli; un sussurro piene di promesse sigillate dallo sguardo eloquente di una donna che viveva per combattere, e la cui vita era costellata di soli combattimenti, fisici e mentali.
    Rimanendo con il volto di fronte a quello del Duca, feci tintinnare il calice contro il suo, sancendo il patto che mi avrebbe portata a tradire la fazione che avevo servito durante gli ultimi anni della mia esistenza ma, al tempo stesso, che mi avrebbe fatto ottenere un potere che fino a qualche giorno fa avrei potuto solo sognare.

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    Per l'ultima parte, volevo chiedere ma visto che non c'eri... se non va bene ed è troppo autoconclusivo dimmi pure che troverò il modo di modificare! Per il resto spero vada tutto bene :zizi:
     
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    Q U I N T O N E C R O L O G I O

    Tintinnio di calici ripieni, questo il suono che suggellava quell'unione. La diabolica macchinazione dell'uomo era appena cominciata, ma questo la draconiana non lo sapeva. L'aveva accecata con la promessa di un potere che serviva in primo luogo a lui che a lei, qualcosa che l'avrebbe aiutato nella sua repentina scalata al potere. Ma non è il momento di rivelare i piani celati nella mente del Duca di Cravikov.

    I due colsero i frutti di quella serata già estremamente proficua, scivolando velocemente nell'abbraccio tenebroso delle lenzuola.
    Notte insonne, di intrighi e dei, signori e draghi. Una notte buia, per ogni anima del Valhalla.


    Continua qui

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    Prima parte finita, Dyo out.


    Edited by Dyølance - 11/3/2016, 22:58
     
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